Emigrazione, immigrazione, flussi migratori, movimenti migratori, rifugiati, richiedenti asilo, marittimi… tanti termini per una sola destinazione: l’essere umano. Perché parlare di mobilità umana significa considerare un fenomeno tanto antico quanto l’uomo e tanto complesso quanto sono le multiformi realtà fondamentali della persona. Un fenomeno che ha intriso la storia dell’umanità e che, in diversi modi, in-teressa ogni area del pianeta, ogni singolo individuo. Quando trattiamo di “migrazioni” abbiamo spesso davanti agli occhi le tante immagini che ci trasmettono i media. Associamo questo fenomeno al dolore, alla paura, alla perdita… un aspetto del fenomeno, ma non la sua totalità. Courgeau (1980) definisce le migrazioni a partire dai cambiamenti di “spazio di vita individuale”, indicando come tale la porzione di spazio in cui la persona realizza le sue attività fondamentali.

Il presente lavoro si inserisce in un filone di ricerca sulla mobilità interna in Italia sviluppato da numerosi sociologi e demografi, nonché dagli autori stessi negli ultimi anni1. L’obiettivo è quello di delineare un quadro di sintesi dell’evoluzione dei flussi migratori negli ultimi 40 anni attraverso il ricorso a indicatori sintetici ed a strumenti “nuovi” per la tematica in esame. In particolare, s’intende effettuare una lettura possibilmente inedita del fenomeno migratorio, prestando un’attenzione specifica ai movimenti della popolazione straniera sul territorio. Infine, si tenterà di misurare se e quanto la mobilità lungo la direttrice Sud – Nord, in termini di intensità e direzione dei flussi, sia spiegabile dalle disparità territoriali in alcune variabili di tipo economico.

Since ancient times, ships of all kind and shapes navigated the seas and the oceans searching for new territories, carrying products and people, making the fortune of some and the ruin of others. Techno-logical progress has allowed the construction of safer and bigger ships, new waterways are created by digging channels between oceans and new shipping routes are explored and open, but the power of the mighty waters remain a force that the seafarers have to face anytime they leave the safety of the harbor.By transporting 90% of all the goods in the world, nowadays the maritime industry plays an essential role in our daily life and in the global economy. From the petrol for our cars to the clothes that we wear and the appliances we use in our offices and houses, the large ma-jority of all the “things” around us is transported by ships. However, with ports built far away from the cities, short turnaround of ships in ports and crewmembers prevented to go ashore, the seafarers have be-come “invisible” and people are generally not aware of the significant contribution of the shipping industry to our life. Moreover, the public tends to be unaware of the challenges, problems and difficulties faced by the persons working behind the scene to keep this indispensable industry afloat in a multifaceted and intricate connection that spans from one side of the globe to the other.

I saggi raccolti nella prima parte di questo volume costituiscono gli Atti della V edizione della Summer School «Mobilità umana e giustizia globale», promossa dall’Università Cattolica del Sacro Cuore in collaborazione con lo Scalabrini International Migration Institute (SIMI) e l’Agenzia scalabriniana per la cooperazione allo sviluppo (ASCS), con il sostegno della Fondazione Migrantes e la collaborazione editoriale di CSER. L’intento della scuola è quello di collocare l’analisi dei processi di mobilità umana all’interno di una riflessione più ampia, che rinvia appunto alla questione della giustizia globale. Con questa quinta edizione della scuola, svoltasi sempre a Melendu-gno, dal 15 al 18 settembre 2014, a essere messo a fuoco è stato il tema delle Parole. Le parole attraverso le quali definiamo, rappresentiamo e comunichiamo il mondo dell’immigrazione. Parole che “contano”, nel forgiare il destino dei migranti e la qualità della convivenza interetnica, attraverso l’utilizzo, spesso inconsapevole, che ne fanno le società d’ori-gine e di destinazione, le istituzioni, i diversi media e la gente comune, gli stessi migranti e coloro che con essi interagiscono.

L’enorme mosaico della migrazione italiana è stato raccontato e analizzato attraverso differenti punti di vista e diversi approcci metodologici, nel tempo e nello spazio. Tuttavia, oggi si avverte la necessità di un lavoro di sintesi che approfondisca l’analisi delle «catastrofi», ancora parzialmente affrontate. L’obiettivo di questo numero monografico è cercare di individuare un fil rouge che, senza la pretesa di essere unico ed onnicomprensivo, riesca a collegare tra loro le diverse tragedie in una chiave interpretativa per alcuni aspetti nuova. Il filo che lega i contribuiti del volume è definito da tre concetti chiave: catastrofe, fordismo e migrazione.

Il termine “sfida” può ben rappresentare la specificità di alcuni compiti di sviluppo che si impongono simultaneamente – e con la medesima pregnanza e urgenza – al minore straniero di seconda gene-razione. Ed è proprio la loro coesistenza nelle stesso arco temporale a determinarne la natura di rischio, con conseguenze che potrebbe-ro essere anche infauste. La sfida richiama un’incitazione a compie-re qualcosa di impegnativo in una situazione delicata e pericolosa; richiama il confrontarsi con un ostacolo interno o esterno, il cui esito dipenderà primariamente da come tale ostacolo verrà fronteggiato. A una serie di “sfide evolutive” sono dunque chiamati i minori stranieri che si trovano a confrontarsi con un contesto sociale diverso da quello della famiglia d’origine; sfide il cui esito permette di giungere a forme più o meno adeguate di adattamento e che naturalmente subiscono modulazioni anche rilevanti a seconda della diversa percezione dello stress, delle diverse strategie di coping e dei cambiamenti di significa-to attribuiti alle situazioni dai diversi soggetti. I minori immigrati di seconda generazione si trovano, infatti, come tutti coloro che vivono quotidianamente in contesti sociali e culturali diversi, a presentare aspetti diversi di sé a seconda dei contesti e degli interlocutori con cui si trovano. Se questa è una condizione comune a tutti gli individui, essa assume significati particolarmente forti nel caso di soggetti con ri-ferimenti culturali e sociali multipli.

New Media & Migrazioni: è questo il binomio scelto come tema generale della prima Tavola Rotonda che CSER, SIMI, Ufficio Comunicazione Scalabriniani (UCoS), con il sostegno della Fondazione Migrantes, hanno realizzato nel maggio del 2013 a Roma e di cui ora raccogliamo i contributi in questo numero di Studi Emigrazione. Le ragioni di tale opzione sono, a mio avviso, pressanti: in primo luogo i passi da gigante compiuti dai mezzi di comunicazione in questi ultimi anni obbligano ad una analisi e ad una conoscenza degli stessi sempre più approfondita; dall’altro lato, il fenomeno della mobilità, connatura-to all’essere umano e per definizione in perenne mutamento, è spesso oggetto – e poche volte soggetto – delle nuove forme comunicative del secolo XXI.

I saggi qui raccolti costituiscono gli Atti della IV edizione della Sum-mer School “Mobilità umana e giustizia globale”, promossa dall’Uni-versità Cattolica del Sacro Cuore in collaborazione con lo Scalabrini International Migration Institute e l’Agenzia scalabriniana per la co-operazione allo sviluppo, con il sostegno della Fondazione Migrantes. L’intento della scuola è quello di collocare l’analisi dei processi di mobi-lità umana all’interno di una riflessione più ampia, che rinvia appunto alla questione della giustizia globale. La quarta edizione, svoltasi a Le Cesine (LE) dal 16 al 19 settembre 2013, ha in-teso porre sotto i riflettori una dimensione spesso lasciata in disparte negli studi sulle migrazioni: quella della Dignità. Una dignità “liquida”, perché offesa e calpestata dai trafficanti e dagli sfruttatori che costella-no le rotte della migrazione e i luoghi di lavoro dei migranti, così come dagli squallidi protagonisti del turismo del sesso e della compravendita di giovani donne sul mercato matrimoniale. Ma una dignità offesa e calpestata anche dalle stesse pratiche e culture di minoranze vecchie e nuove che impongono ai loro membri condotte e destini lesivi dei loro diritti fondamentali e delle loro legittime istanze di autorealizzazione.

Il n. 192 di Studi Emigrazione commemora una tappa significativa del Centro Studi Emigrazione, che celebra quest’anno 50 anni della sua storia. Questa tappa non vuole essere in alcun modo un momento autoreferenziale, né tanto meno un semplice ricordo nostalgico, per in-corniciare uno stralcio di storia, che per molti è già andato perduto nel tempo. Questo numero speciale della Rivista vuole invece rappresentare una riflessione doverosa, per sottolineare quelle traiettorie che fin dall’inizio hanno accompagnato il cammino e lo sviluppo del CSER, per essere un luogo privilegiato di studio e di attenzione al variegato campo della mobilità umana.

Questo numero di Studi Emigrazione è dedicato all’analisi dei pro-cessi di migrazione entro il mondo globale secondo una prospettiva linguistica, con una specifica attenzione alla situazione italiana, della quale sono prese in esame le questioni di immigrazione straniera. Soffermandosi su tale tema la rivista continua la sua linea di dialogo interdisciplinare su un ambito la cui complessità e rilevanza impongono di necessità un confronto fra differenti approcci di ricerca.
Il legame fra lingua e processi migratori è talmente forte che lo si può considerare a buon diritto costitutivo della materia. Si può affemare che diverse prospettive di analisi entro la linguistica moderna hanno fatto dei movimenti migratori un elettivo oggetto di indagine scientifica indotte sostanzialmente da un duplice interesse: da un lato, i movimenti migratori sono stati visti come esemplari dei processi di contatto linguistico – tema, questo, di specifico interesse della sociolinguistica, ma anche di ogni altro approccio alla vita effettiva delle lingue nei suoi utenti – e dall’altro come contesti dove esaminare i modi di sviluppo della competenza linguistica negli individui quando si rap-portano con nuovi idiomi.

Con i cambiamenti avvenuti negli ultimi decenni, specialmente in Europa, le migrazioni sono diventate dei veri banchi di prova per i go-verni e le strutture sociali, che spesso si rivelano inadeguate rispetto ai bisogni della gente in movimento. Questo numero di Studi Emigra-zione, il 190, offre una panoramica delle nuove migrazioni, mettendo in rilievo il fenomeno dei flussi migratori qualificati, che manifestano il bisogno di riflettere sulle culture, che si incontrano e si scontrano, che ancora rimangono chiuse in se stesse e incapaci di tracciare per-corsi nuovi di dialogo e di mediazione interculturale.
Effettivamente, «i flussi di ritorno degli immigrati che lasciano l’Italia sembrano, a prima vista, molto meno rilevanti rispetto agli ingressi. In realtà, prestando maggiore attenzione alle statistiche, ci si rende conto che anche questa seconda faccia del fenomeno migratorio non va trascurata, anche se continuano a essere consistenti i flussi in entrata» (Pittau-Ricci-Giuliani). Negli ultimi anni in Italia, soprattutto a causa delle crisi politico-economiche, stanno aumentando le partenze sia forzate che accompagnate. Questo processo inverso dei ritorni nella patria d’origine rappresenta un capitale umano da valorizzare, grazie al contributo offerto da quelli che rientrano per una maggiore cooperazione allo sviluppo in campo economico e sociale.

Agli inizi del 2013, l’anno che il Parlamento Europeo e il Consiglio hanno voluto dedicare ai cittadini1, al fine «di rafforzare la consapevolezza e la conoscenza dei diritti e delle responsabilità connessi alla cittadinanza dell’Unione», questo numero monografico di «Studi Emigra-zione» offre al lettore una ricca raccolta di contributi per riflettere, da varie prospettive disciplinari, su una questione sempre più improrogabile, per l’Italia come per gli altri paesi europei: il rapporto tra immigrazione straniera e regimi e pratiche della cittadinanza.
I circa cinque milioni di stranieri stabilmente residenti in Italia e, al loro interno, gli oltre un milione di minori stranieri – più o meno la metà dei quali nati sul suolo italico – pongono infatti, alla nostra società, una serie di interrogativi cruciali; interrogativi in grado, come vedremo, di rimettere in discussione i principi basilari che regolano l’appartenenza a uno Stato nazione e l’accesso ai diritti e alle opportunità che tale appartenenza garantisce.

Da un rapido sguardo alla storia mondiale è facile evincere come l’America Latina sia stata particolarmente segnata dal fenomeno della mobilità umana nelle sue diverse forme.
Gli stati e le società latinoamericani nacquero dalla colonizzazione europea e dalla conseguente “cacciata” degli Indios dai loro territori ancestrali. Gli stati e le società latinoamericani furono costituiti nel se-colo XIX da milioni di immigranti europei che solcarono l’Oceano Atlantico alla ricerca di un futuro migliore per sé e per le proprie famiglie. I medesimi stati e società videro arrivare milioni di schiavi africani strappati alle loro terre e venduti nei mercati del Nuovo Mondo. Più recente-mente, molti stati e società latinoamericani sono stati tristemente segnati da migliaia di esili per ragioni politiche, ora come luogo d’origine ora come luogo di rifugio. Tutti gli stati e le società in America Latina sono ancora teatro di ingenti flussi migratori interni, intraregionali e intercontinentali, dovuti principalmente a ragioni economiche.
Tutti questi spostamenti di persone hanno generato nella regione una piattaforma sociale alquanto fluida che, pur sinceramente impegnata nella conformazione di una comune “identità latinoamericana”, non finisce mai di confrontarsi con differenze e divisioni congenite.
I contributi raccolti in questo volume presentano alcuni tasselli del complesso mosaico migratorio latinoamericano, guidandoci in un viaggio immaginario lungo oltre due secoli.

Questo numero della rivista si è costruito quasi da solo, attraverso l’arrivo di contributi sparsi che non riuscivano ad entrare negli altri fa-scicoli perché di argomento diverso. Nell’arco di un anno si è così creato un corpus di saggi, che sostanzialmente riguardavano la stessa mate-ria, cioè il modo con cui i migranti sono ricevuti nel Vecchio continente nel corso dei secoli, sia sul piano giuridico che su quello sociale.
Gli interventi possono essere ripartiti in quattro gruppi, che parzialmente si sovrappongono: 1) l’immigrazione in Italia nel secondo Novecento e nel nuovo millennio (Villari, Bova, Angeletti e Villa); 2) l’emigrazione italiana nell’ultimo millennio (Sanfilippo); 3) la questione dei rom nell’Italia di ieri e di oggi (Bellinvia e Cimini); 4) il quadro belga oggi (De Vos e Peumans). All’interno di questa divisione prima-ria si possono riscontrare elementi trasversali: per esempio, il rapporto tra le migrazioni del passato, anche lontano, e quelle del presente (Sanfilippo e Cimini) oppure il ruolo dei rifugiati (Angeletti e De Vos), anche qui comparando l’attualità e un passato non lontanissimo, ma comunque in grado di garantire una prospettiva storica.

L’equilibrio tra le esigenze dettate dalla crescente diversità culturale e la necessità di mantenere e rafforzare la coesione sociale rappresenta una delle questioni centrali del mondo contemporaneo. Diritti delle minoranze e politiche dell’accoglienza, gestione delle differenze, riforma dei sistemi scolastici non cessano di costituire i temi fondamentali dell’agenda politica come della riflessione scientifica. Anche per questo, in Europa e nel Mediterraneo, così come negli altri continenti, l’educazione interculturale si conferma come uno degli strumenti indispensabili per affronta-re questa sfida cruciale. L’intercultura, anziché essere considerata una fase transitoria dei processi della globalizzazione, resta un tema chiave, di fronte al fatto rappresentato dalla società multiculturale. Le soluzioni non sono certo facili da trovare. Visioni semplificate, banalizzate o ideologiche del dialogo hanno ostacola-to il percorso di riconoscimento nella reciprocità. Allo stesso tempo non sono state ancora trovate – come ammette anche Will Kymlicka – formule convincenti per armonizzare i diritti dei diversi gruppi nel pluralismo. Questo obiettivo si conferma indispensabile: tuttavia, si può affermare di assistere oggi ad una sorta di eclissi dell’intercultura, o alla sua progressiva scomparsa?
Per rispondere a questa domanda occorre chiedersi di quale prospettiva interculturale si parli nel contesto attuale, e se essa debba essere archiviata come un’utopia ostinata ma destinata all’irrilevanza. Il fallimento di altre soluzioni apparentemente decisive, in realtà, conferma che la sola strada per una convivenza pacifica in un mondo travagliato resta quella di un dialogo faticoso e complesso con un altro “reale”, anziché ridotto ad immagine di sé o a nemico. Il dibattito di questi anni sull’educazione interculturale, in particolare nella scuola, si presenta, sotto tale punto di vista, particolarmente interessante, come dimostrano i saggi di questo numero della rivista. Gli esperti di fama internazionale che presentano un quadro dell’intercultura nelle diverse aree geografiche, infatti, descrivono un quadro molto sfaccettato.

Famiglie che migrano, si dividono,si ritrovano, si disperdono
Atti della Summer School “Mobilità umana e giustizia globale”
Questo numero della rivista “Studi Emigrazione” presenta gli atti della seconda edizione della summer school Mobilità umana e giustizia globale, svoltasi a Loreto tra il 18 e il 23 luglio 2011.
Certamente numerose sono state, in questi anni, le iniziative informative e formative dedicate al fenomeno epocale delle migrazioni internazionali. In questo quadro, la nostra scuola – promossa dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (Dipartimento di Sociologia) in collaborazione con lo Scalabrini International Migration Insti-tute (SIMI) e l’Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo (ASCS) – vuole caratterizzarsi per una sorta di “riposizionamento” di prospettiva, collocando l’analisi dei processi di mobilità umana all’in-terno di una riflessione più ampia, che rinvia appunto alla questione della giustizia globale. Rivolgendosi in particolare a studenti universi-tari e giovani laureati, operatori sociali e professionisti che a vario titolo sono impegnati sul fronte delle migrazioni e della cooperazione allo sviluppo, responsabili della pastorale delle migrazioni, del lavoro e del-la famiglia, insegnanti e formatori, ricercatori e studiosi – oltre che, naturalmente, a tutti gli altri soggetti potenzialmente interessati –, la scuola costituisce un’occasione, unica nel suo genere, per confrontarsi con esperti e studiosi e per prendere parte a una serie di laboratori interattivi, condotti con tecniche e metodologie diverse.

150 anni della nostra storia: la pastorale agli emigrati nelle Americhe
Con il numero 184, si completa la serie di articoli che hanno descritto l’emigrazione italiana nel mondo fin dalla proclamazione dell’Unità d’Italia, sottolineando particolarmente l’azione pastorale della Chiesa e degli istituti religiosi a favore degli italiani all’estero.
Il fascicolo si apre con la cronaca del viaggio del vescovo di Piacenza, mons. Giovanni Battista Scalabrini, in Nord America avvenuto esattamente 110 anni fa (1901). Ciò che l’autore mette in luce nel meticoloso racconto degli oltre 3 mesi trascorsi negli Stati Uniti è soprattutto il cambiamento dell’opinione pubblica americana nei confronti degli italiani immigrati. La presenza del prelato, inviato speciale della Santa Sede, la sua parola fatta risuonare non solo nelle chiese e nelle comunità cristiane, ma anche negli incontri con alti funzionari e nelle feste sociali, il contatto diretto con i suoi missionari e con i fedeli sono sta-te tutte occasioni preziose per stabilire nuove relazioni tra la gente, rispettose dei diritti e delle diversità culturali di ciascuno. «Il viaggio del vescovo Giovanni Battista Scalabrini nell’est del Nord America fu un evento mediatico ben orchestrato e di successo. Per mezzo della copertura della stampa, Scalabrini fu in grado di raggiungere molta più gente di quanto potesse essere stipata in una chiesa, in piedi in mezzo alla folla, oppure che ascoltava la sua voce o vedeva la sua faccia. Le sue parole in italiano o francese, entro 24 ore, venivano tradotte e stampate in inglese oppure parafrasate».

150 anni della nostra storia: la pastorale agli emigrati in Europa e Australia
Gli ultimi 150 anni della storia italiana sono stati attraversati da numerose vicende, che hanno segnato profondamente le sorti della nazione. Il grande sforzo di unificare il paese non ha, però, corrisposto al desiderio pressante di creare un unico popolo, anzi fin dall’inizio l’Italia come il resto dell’Europa ha visto la partenza di tanti, che si sono sparsi per tutti i continenti. La recente celebrazione dell’Unità d’Italia ci offre dunque l’occasione di ripensare criticamente i trascorsi della storia antica e moderna, per analizzare il fenomeno migratorio che ha portato oltre 50 milio-ni di italiani al di fuori della propria patria.
Questo volume, dedicato particolarmente all’emigrazione italiana in Europa (Francia, Belgio, Svizzera, Germania) e in Australia (specialmente dopo la seconda guerra mondiale), consta di un paio di arti-coli tesi a mettere in luce le peculiarità e le differenze dei flussi migra-tori nei continenti di arrivo.

Accoglienza e inserimento dei migranti
Uno sguardo rivolto alle migrazioni del passato rappresenta un momento sapienziale, in grado di descrivere situazioni e scoprire elementi importanti che restano nel tempo. I ricordi di emigranti, che partivano dall’Italia un secolo fa o appena dopo la seconda guerra mondiale, sono pressoché simili a quelli che ancora oggi lasciano la propria patria: nelle lettere ai propri cari, nei diari autobiografici e nelle ricerche degli studiosi permane, infatti, la gran sete di trovare risposte ai tanti drammi che si consumano nel mondo della mobilità umana.
Le belle intuizioni di Gianfausto Rosoli sullo studio delle lettere e dei diari dei migranti oggi trovano uno spazio di ricerca ancora maggio-re, soprattutto grazie all’avvento del web che dà la possibilità a molti di rendersi visibili, di far sentire la propria voce. Specialmente in campo migratorio abbondano le raccolte di lettere e autobiografie, che «hanno […] una funzione di bilancio o di sfogo per l’autore, ma spesso vogliono anche avere un’utilità, cioè un valore di esempio, che gli autori di una normale opera letteraria non si propongono»1. Si tratta di preservare la memoria, o meglio di dare l’opportunità a tantissima gente con un grande bagaglio di esperienze di ritagliarsi il proprio spazio per descrivere il loro mondo con un senso di freschezza e di immediatezza.

In questo numero della rivista affrontiamo ancora una volta il rap-porto tra religione e migrazioni. Si tratta, infatti, di capire se le nuove culture e religioni stiano trasformando l’Italia, l’Europa e il mondo intero, che non si riconoscono più come realtà mono-culturali, esclusivi-ste a livello religioso e statiche nel loro modo di essere. In effetti, il fenomeno delle migrazioni sta cambiando le culture, le società ed anche le religioni.
L’esperienza dell’emigrazione, anzitutto, trasforma le persone e non solo la realtà in cui si trovano; per cui, non è insolito percepire negli immigrati un vero cammino di crescita e di rinnovamento, a volte rinunciando a ciò che già hanno, altre volte approfondendo ed arricchendo il proprio bagaglio culturale e spirituale attraverso l’incontro con l’altro, col diverso da sé. «Per gli immigrati separati dalla patria e dai parenti l’adesione religiosa offre un rifugio in quanto crea un senso di appartenenza e di partecipazione di fronte alla perdita e alle tensioni provocate dall’adattamento a una nuova realtà» scrivono Foner e Alba, in uno dei saggi qui tradotti.

L’immigrazione italiana in Svizzera dopo la seconda guerra mondiale
1. Una grande migrazione
La Svizzera ha rappresentato negli anni successivi alla seconda guerra mondiale la principale meta dell’emigrazione italiana. I dati al riguardo sono incontrovertibili. Tra il 1946 e il 1976 sono registrati 2.330.337 espatri dall’Italia verso la Svizzera. Un cifra che è più del doppio rispetto agli espatri complessivi verso la Germania federale
(1.137.831) e la Francia (1.032. 758), gli unici paesi che nello stesso pe­ riodo superano il milione di unità. Una cifra che è ancora più impres­sionante se confrontata con i dati relativi ai paesi extraeuropei: tra il 1946 e il 1976 Argentina e Stati Uniti (le destinazioni che per lungo tempo hanno dominato l’immaginario dell’emigrazione italiana) han­no registrato l’ingresso rispettivamente di 500.116 e 488.483 italiani.

Le migrazioni qualificate dall’Europa dell’Est verso l’Italia
È riconosciuto che per un numero crescente di occupazioni altamen­te qualificate esiste un mercato del lavoro globale, sul quale i paesi più industrializzati sono divenuti competitori nel cercare di attrarre i mi­granti più qualificati. Infatti, la possibilità di avvalersi di un capitale umano di alta qualità, evitando le spese di una lunga formazione, costi­tuisce un vantaggio competitivo ·importante per le economie nazionali. Tuttavia, gli attuali consistenti flussi di migranti ad alta qualificazione fanno sì che anche il fenomeno dello “spreco di cervelli” (brain waste) sia molto diffuso. Questo fenomeno, in precedenza abbastanza limitato e circoscritto ad alcune tipologie professionali, ha incominciato a verifi­carsi in misura sempre maggiore soprattutto a partire dagli anni 1990, quando i paesi occidentali, inclusa l’Italia, sono divenuti meta di impo­nenti flussi migratori di personale altamente qualificato (ricercatori, tecnici, professionisti, intellettuali), proveniente dai Paesi dell’Est.
In questo quadro, l’Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politi­che Sociali (IRPPS-CNR), nell’ambito di un Progetto del Consiglio Na­zionale delle Ricerche (approvato dal CNR come Ricerca a tema libero nel 2008) e il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università degli Stu­di di Torino, in collaborazione con l’Istituto di Ricerche Economiche e Sociali- lres Piemonte hanno svolto un’Indagine sull’inserimento la­vorativo delle immigrazioni qualificate provenienti dai Paesi dell’Est Europeo.

Migrazioni e teologia. Sviluppi recenti
L’idea di questo dossier è nata dopo che il CSERPE aveva pubblicato una rassegna bibliografica su saggi e volumi dedicati alla lettura o ap­profondimento biblico-teologico del fenomeno migratorio1 • La consi­stenza numerica di questi scritti e la loro eterogeneità ci hanno indotto a chiedere a studiosi delle varie scienze teologiche di fare il punto della situazione, mettendo in luce le lacune, il progresso della riflessione e i campi di ricerca ancora inesplorati. Di fronte alle trasformazioni in at­to, che portano all’affermarsi di società sempre più pluriculturali e plu­rireligiose, risulta quanto mai urgente che le scienze teologiche svilup­pino percorsi interpretativi adeguati.
Per comprendere appieno il ruolo che le migrazioni giocano nella società e nella Chiesa, la raccolta è preceduta da un approfondito esa­me di Lorenzo Prencipe sulle numerose ricerche condotte da sociologi ed antropologi sul nesso “migrazioni-religione”. Questi ricercatori sot­tolineano i cambiamenti che gli immigrati, portatori di stili di vita, strutture organizzative ed espressioni religiose nuovi, determinano nelle comunità religiose tradizionali e le sfide che comporta il passag­gio da una struttura monoculturale ad una multiculturale.

Approcci postcoloniali alle danze e musiche etniche per un dialogo interculturale
Approches postcoloniales des danses et musiques ethniques pour un dialogue interculturel

Con le migrazioni, tutte le città europee sono entrate in un processo di mutazione sociale che porta le rispettive popolazioni a diventare multiculturali. Allo stesso tempo, in questo nuovo contesto, si osserva sempre più una certa rinascita di espressioni identitarie nazionali, re­gionali, religiose. Si nota anche una appropriazione, o a volte una ri­appropriazione, di pratiche provenienti da altre realtà culturali, fino a farle diventare nuovi riferimenti culturali. La musica e la danza non sfuggono a tali nuovi fenomeni. È in questo contesto che un numero crescente di residenti europei vogliono imparare le danze e le musiche cosiddette “etniche”, soprattutto le danze ”latine” (salsa, merengue, sam­ba, rumba, tango argentino, capoeira) o quelle negro-africane e orien­tali. La stessa riflessione vale per la musica, di cui le percussioni sono l’esempio più eclatante. Questo nuovo interesse culturale porta con sé un’offerta crescente di corsi ad hoc, dispensati da scuole o centri di dan­za e di musica, da centri sportivi e di fitness o anche da discoteche. Ora, la metodologia di buona parte di questi corsi è priva di qualsiasi dimensione interculturale.

Gli italiani in Australia. Nuovi spunti di riflessione
In Australia, the first State Government that endorsed the policy
of multiculturalism was the NSW Government, with the launch in May 1984 of the Ethnic Affairs Policy Statements initiative. The policy aimed at guaranteeing equality of access to government services to people of non English-speaking background, until then structurally marginalised by the dominant culture. It was meant to be a significant agent of change, an initiative promoting positive discrimination. Its ultimate goal was to change society by making it more representative-in its politica!, social, economie and medianic centres of power – of the cosmopolitan mix that Australia has always been. The flurry of institutions, research academies, conferences and publications which flourished during the 1980s and 1990s in the pursuit of making it a reality slowly, but inexorably lost their significance and, as Italian writer Tornasi di Lampedusa once said, everything changed to remain just the same. To a large extent, migrants were successfully kept outside the stanza dei bottoni, the decision-making centres of power.

La stampa di emigrazione italiana

Stampa “in e di” emigrazione. Informazione nell’ottica della “formazione”
È già stato detto che le grandi realtà vengono alla luce discre­tamente. Se ascoltassimo con attenzione, potremmo percepire – nonostante il fracasso di imperi e nazioni – il leggero fremito d’ali, il lieve risveglio della vita e della speranza. Alcuni dicono che la speranza risiede in una nazione; altri, in un uomo. Io cre­do invece che essa è generata e sostenuta da milioni di persone i cui gesti quotidiani sconfessano le più crude frontiere della sto­ria. Brilla, in questo modo, per un istante la verità-sempre mi­nacciata – che ogni uomo, sul fondamento delle proprie gioie e sofferenze, costruisce per tutti» (Albert Camus)
Questa citazione di Camus può fare da cornice a questo numero di Studi Emigrazione consacrato al ruolo della stampa “in e di emigrazio­ne” nel leggere, capire e accompagnare il secolare processo migratorio italiano. Infatti, sulla falsariga del rapporto che l’uomo ha con la socie­tà, anche le numerose e spesso sconosciute pubblicazioni nate in emi­grazione o destinate agli emigrati italiani (che chiameremo, per sem­plificare, “stampa migrante”) hanno contribuito, nella diversità dei contesti, dei momenti storici e degli approcci ideologici, a mantenere, creare e ricreare un legame sia tra gli italiani, che per ragioni politiche o economiche hanno emigrato, sia tra questa parte d’Italia fuori Italia e l’Italia, sia tra i paesi di destinazione ed il paese di provenienza.

Migrazioni e sviluppo nell’Africa sub-sahariana
All’inizio di questo millennio fattori economici, sociali, ambientali e culturali rimettono l’Africa in discussione. Nelle nazioni africane il peso dei problemi legati alla povertà, all’ambiente e ai cambiamenti climatici, per citarne soltanto alcuni, spingono a riflettere sul ruolo che la diaspora potrebbe avere nel migliorare il benessere della popolazio­ne. L’attenzione dei (macro)economisti e di molti finanziatori interna­zionali si è a lungo e sino a un periodo relativamente recente concen­trata esclusivamente sul problema degli aiuti allo sviluppo come stru­mento di lotta alla povertà. Articolata sulle relazioni fra gli Stati, la po­litica di cooperazione allo sviluppo non ha finora integrato e ancor me­no valorizzato l’apporto della diaspora nella crescita delle nazioni afri­cane. A tal proposito le riflessioni istituzionali sono ancora molto circo­scritte, ma possiamo osservarne i primi significativi passi in alcune istituzioni, per esempio nell’Unione europea. Oggi abbiamo una lette­ratura sempre più abbondante sui legami fra migrazione e sviluppo in Africa 1. Il recente interesse dei ricercatori per questa problematica è auspicabile che cresca, perché permetterà di disporre di una «massa critica» di studi in un settore ancora contrassegnato da troppe dichia­razioni di meri buoni intenti.

Migrazioni, identità e intercultura: il contributo di Charles Taylor e Will Kymlicka

La preparazione di questo dossier1 ha preso più tempo del previsto, ma proprio tale ritardo ci ha aiutato a focalizzare alcuni problemi ine­renti alla discussione italiana degli scritti di Charles Taylor2 e Will Kymlicka3. In parte le difficoltà da noi incontrate derivavano dall’ecces­siva presunzione del progetto iniziale: sulla scia di alcune riflessioni di Flavio Baroncelli avevamo infatti previsto di affrontare la dimensione nordamericana dei due autori e quindi di verificare se le coordinate da essi offerte potessero essere riprese nel contesto europeo. però, riflettevano e riflettono la questione più generale dell’approccio italiano ad autori canadesi, appartenenti cioè a un universo culturale che non è europeo né statunitense, ma apparentato ad entrambi. Nel corso della nostra ricerca abbiamo compreso come i temi da trat­tare fossero troppi, andando dallo specifico canadese all’attuale con­giuntura mondiale. Tali tematiche non prevedevano inoltre la sola esplorazione del nostro presente, ma esigevano persino la ricostruzione della storia occidentale degli ultimi quattro secoli.

Circolazioni, sedentarizzazioni e transiti nell’area del Mediterraneo

Dagli anni Novanta del XX secolo, i movimenti delle popolazioni me­diterranee hanno assunto una nuova visibilità sulla scena migratoria internazionale. I saggi proposti in questo numero di Studi Emigrazione approfondiscono alcuni aspetti di queste forme di circolazione, sedenta­rizzazione e transito adottando come punto di vista quello dei migranti che si spostano lungo le sponde meridionali e orientali mediterranee. Questo sguardo decentrato rispetto all’Europa restituisce un’immagine multiforme del fenomeno e apre il dibattito su alcuni nodi concettuali problematici. In modo particolare, l’intreccio e la sovrapposizione fra movimenti di popolazione attuali e passati e le connessioni fra il livello globale, nazionale e locale sollevano la delicata scelta del Mediterraneo come categoria pertinente e specifica nello studio delle migrazioni. I fatti migratori restituiti dagli autori possono essere considerati come un tratto specifico del Mediterraneo oppure, situandosi nel Mediterraneo, essi ci interrogano sulle configurazioni migratorie attuali? Le ricerche presentate documentano l’instabile delimitazione esi­stente fra “migrazioni nel Mediterraneo” e “migrazioni del Mediterra­neo”.

Immigrati e stranieri al censimento del 2001
Paese di nascita e cittadinanza sono due dei caratteri che vengono più frequentemente utilizzati per individuare gli stock di riferimento nello stu­dio delle migrazioni internazionali. E evidente che, avendo come riferimen­to gli stock, si analizza un processo continuo nel tempo, come le migrazioni, valutandone la “sedimentazione” in un determinato istante e rinunciando a coglierne quell’aspetto dinamico che ne è componente essenziale.
D’altra parte, questo modo di procedere trova una sua giustifica­zione nell’assenza o nei limiti evidenti delle rilevazioni correnti dei flussi migratori 1, i quali impongono il ricorso ad altri strumenti di rile­vazione che sono in grado di fornire spesso un dettaglio informativo molto più fine e articolato delle statistiche disponibili sui flussi. È il ca­so appunto dei censimenti che qui consideriamo.
Un secondo punto critico riguarda le popolazioni di riferimento che è possibile cogliere utilizzando il paese di nascita o la cittadinanza de­gli individui.

America latina: emigranti, nazioni, identità

L’America latina dalla metà dell’Ottocento ad oggi è stata meta e origine di flussi migratori importanti da e verso altri continenti. Gli studi contemporanei, di cui i saggi qui presentati sono un esempio si­gnificativo, indagano un tema comune: il nesso, spesso ambiguo e sfug­gente, tra identità individuali e collettive e fenomeno migratorio. Qua­le è stato il contributo degli europei e degli asiatici alla formazione del­le nazioni latinoamericane tra Otto e Novecento? Quale è stato il per­corso attraverso il quale i nuovi arrivati hanno ridefinito la loro identi­tà in un bilancio difficile tra il proprio passato, il proprio presente e il futuro? Oggi i latinoamericani emigrati in Europa ripercorrono un analogo processo di trasformazione identitaria e le nazioni europee ri­definiscono la propria immagine come società di immigrazione. Quali sono le caratteristiche di questi processi? Come si possono cogliere e rappresentare? Quali sono le fonti da interrogare?
Gli studiosi, autori dei saggi qui riuniti, cercano di rispondere a queste domande da angolature diverse. Comune a molti di loro è l’uso di interviste e storie di vita: l’intreccio tra ricerca storica e ricerca an­tropologica appare particolarmente ricco di potenzialità. Sono prese in considerazione nuove fonti e nuove metodologie. Internet offre indica­zioni preziose sulle motivazioni ed i progetti degli emigranti nei forum in cui ci si scambia informazioni, consigli, idee, speranze. Sono le nuove “lettere degli emigranti”, disponibili in tempo reale. Lo studio delle re­ti, della trama di relazioni che l’immigrato nel nuovo paese stabilisce con altri immigrati di varia provenienza e con gli abitanti locali, ap­pare un nuovo fecondo campo di studio, così come è stato in passato con le catene migratorie.

Cinema ed immigrazione

Nell’ambito della ricchissima bibliografia sul conte Dracula è stato ipotizzato che il successo di questo personaggio sia legato non tanto a una più o meno oscura preistoria letteraria, ma al fatto che offra una facile metafora per descrivere l’arrivo dell’immigrato. L’equiparazione fra quest’ultimo e il principe dei vampiri permette infatti di visualizza­re l’immigrato come sgradito e non invitato ospite che invade il terreno altrui e ne divora gli elementi vitali1. In effetti, soprattutto nella lette­ratura e nel cinema britannico e statunitense, il vampiro è uno stranie­ro venuto a rubare la vita stessa all’autoctono. Con l’andare del tempo questo stereotipo si è tuttavia consumato e alcune pellicole (comunque non britanniche, né statunitensi) hanno iniziato a ironizzare su tale connotazione. In Dracula père et fils (1976) di Édouard Molinaro l’ari­stocratica famiglia transilvanica è obbligata a emigrare, perché il ca­stello è sequestrato dal regime comunista. Il vecchio conte (interpreta­to da Christopher Lee) si trasferisce in Gran Bretagna e diviene una star, mentre il figlio riesce soltanto a trovare lavoro come operaio in Francia e a scoprire chi sono i veri vampiri, cioè i padroni che sfruttano clandestini ed illegali.

Calabria e Sicilia Sguardi italoaustraliani

Il rapporto con il paese di origine costituisce un aspetto fondamentale dell’esperienza diasporica non solo per la prima generazione di emigranti ma anche, seppure in modi diversi, per le generazioni successive. Qualche anno fa il marchigiano Augusto Favi di Wollongong nel presentare alla re­gione di origine una sua scultura in acciaio inossidabile vi aggiunse la scrit­ta: «Dall’Australia alle Marche I con amore I lontan dagli occhi I ma mai lontan dal cuore>>. Tale sentimento di lontana vicinanza è vissuto an­che dagli emigranti di origine calabrese e siciliana i cui rapporti con la re­gione di origine si manifestano in modi assai differenziati, anche se inter­connessi, che vanno dalle serate passate in compagnia di parenti e compa­esani, all’associazionismo!, i collegamenti con parenti ed amici in Sicilia o in Calabria, i ritorni anche per periodi prolungati al paese d’origine.
I siciliani d’Australia costituiscono il maggiore gruppo regionale stabilitosi nel continente e annoverano attualmente circa 47.000 per­sone nate nell’isola mentre, secondo stime rilevate in seno alla colletti­vità siculo-australiana, sono probabilmente 200.000 i nati in Australia di discendenza siciliana. La presenza siciliana in Australia ebbe inizio verso la metà del 1800 con l’arrivo di alcuni eoliani, il cui numero au­mentò nel corso dell’ultimo quarto del secolo con l’aggiunta anche di in­dividui provenienti da Capo d’Orlando.

I musei delle migrazioni

Se, come per il passato, sono state le opportunità lavorative a defi­nire le migrazioni, la differenza con la precedente epoca migratoria sta nel fatto che l’attuale periodo è fondato su un’economia mondiale ca­ratterizzata da una crescente libertà e mobilità delle merci e dei capi­tali che contrasta con la bassa mobilità di mano d’opera. Inoltre, lé dif­ficoltà economiche dei paesi sviluppati favoriscono il proliferare di di­scorsi che vedono nell’immigrato la causa dei problemi sociali (delin­quenza, disoccupazione, violenza).
Le migrazioni odierne si presentano sempre più come fenomeno fi­siologico che accompagna i rapidi processi di globalizzazione. La pre­senza crescente di persone provenienti da paesi diversi diventa sempre più un “elemento strutturale” con conseguenze economiche, sociali e culturali per la vita dei paesi di accoglimento. È il momento allora di prendere in considerazione l’esistenza sul proprio territorio di residen­ti stranieri che vivono, lavorano, partecipano alla vita quotidiana della società senza essere però riconosciuti come cittadini completi.
In questa prospettiva, tra le sfide che la comunità mondiale deve affrontare emerge quella di gestire le differenze in società pluricultu­rali. Di fatto la risposta non è quella di erigere ostacoli e barriere sup­plamentari, ma di cogliere le nuove occasioni di incontro, dialogo e az1one comune.

On June 13, 2003, Canada’s prestigious Museum of Civilization in Ottawa opened its doors to the exhibition, “Presenza -A New Look at ltalian-Canadian Heritage”. It was the first national exhibition ever to be presented on an ethnic minority whose presence in the country’s urban universe has spanned over the entire 20th century.
The exhibition was unique in that-beyond the skills of its curator, Mauro Peressini (see the interview in this issue) – it relied on the participation of ordinary Italian Canadians from coast to coast who willingly lent the wide variety of objects and artefacts on which the exhibition was largely based. Moreover, the conception and design employed by the organisers helped to make a compelling case for the survival of a “material culture” whose interaction with the Canadian environment seems to have transformed it from what some observers may see as a dying residue of an ethnie, into a living organism whose influence on the habits and values of many Canadians remains significant.

Il 30 novembre 2005, in occasione del Centenario (1905-2005) della morte di Mons. Giovanni Battista Scalabrini, vescovo e fondatore dei Missionari di San Carlo (Scalabriniani) per l’accompagnamento socio­pastorale degli emigrati italiani f).el mondo, il CSER (Centro Studi Emi­grazione di Roma), il SIMI (Scalabrini International Migration Institu­te) e la Fondazione Scalabrini, hanno organizzato, in Campidoglio a Roma, un Convegno di riflessione-testimonianza sull’apporto positivo dei migranti alla “costruzione” della società comune a quanti abitano il territorio romano.
Roma, infatti, ha dimostrato nella storia e dimostra oggi di essere una “città aperta”, una città che crede nelle relazioni tra persone per­ché le politiche sociali, culturali, urbanistiche, di sicurezza realizzate nella città hanno come fine quello di creare “collegamenti” tra le perso­ne che hanno scelto Roma come luogo di vita.
Roma è una città alla quale non fa difetto la capacità di accoglien­za … anche e soprattutto verso coloro che arrivano a Roma e in Italia nella speranza di un foturo migliore. Immigrati che vanno accolti e che devono trovare nella città le condizioni per poter vivere e integrarsi.
In questo numero di «Studi Emigrazione» riproponiamo alla riflessione dei lettori i tre interventi magistrali, tenuti da Zamagni, Sanfilippo e Ambrosini in occasione del convegno, che – ognuno nel suo ambito – sottolineano il cammino comune a migranti e autoctoni nella creazione di un nuovo tessuto sociale che, valorizzando l’apporto positivo delle diverse origini e appartenenze, metta in primo piano una convivenza pacifica, rispettosa e dialogante.

I campi per stranieri in Italia

La lettura, quasi in parallelo, di due tesi sui Centri di permanenza temporanea (CPT) e di alcune serie dell’Archivio Centrale dello Stato sul secondo dopoguerra ha stimolato le riflessioni alla base di questo fascicolo. La letteratura specialistica sui campi e sui centri italiani di accoglienza o di transito per i profughi ritiene queste strutture abba­stanza recenti!. Invece i documenti di archivio svelano come i problemi odierni esistessero già sessanta anni fa e alcuni centri odierni siano situati sugli stessi luoghi di quelli di ieri. Dalla divergenza fra queste due informazioni nasce l’esigenza di proporre un’analisi delle struttu­re italiane di accoglienza per i profughi che trascenda il breve periodo.
In primo luogo si è ripercorsa la bibliografia disponibile, ma la let­tura si è rivelata poco utile. I testi sull’argomento trattano del falli­mento o delle difficoltà del sistema odierno e si schiacciano sul presen­te senza porsi domande sul passato2. Resta dunque la sola documenta­zione d’archivio, ma non è sempre accessibile. La maggior parte delle istituzioni italiane, pubbliche o private, non permette o non agevola la lettura dei documenti della seconda metà del Novecento.

Nel contesto dell’allargamento dell’Unione Europea e della presen­za stabile di minoranze etniche provenienti dai paesi terzi, le città eu­ropee diventano ogni giorno più cosmopolite e multiculturali. In questa prospettiva, il servizio pubblico che ha, finora, tenuto in poca conside­razione la diversità culturale degli utenti, dovrà rivedere la propria pratica professionale.
Gli uffici pubblici, luoghi dove il vicino ed il lontano si incontrano, devono necessariamente garantire un servizio uguale a tutti gli utenti ed essere, allo stesso tempo, modelli di rispetto e valorizzazione delle diversità culturali. Assistiamo, invece, ad una recrudescenza di feno­meni di incomprensione e di discriminazione, diretta o indiretta, all’in­terno dei rapporti che si creano :tra istituzioni pubbliche e l’utente. La comunicazione a favore degli utenti non viene concepita in un approc­cio interculturale basato sulla diversità. Il personale del servizio pub­blico non è stato preparato alla comprensione interculturale. In gene­rale, si nota un serio deficit di competenza interculturale nel servizio pubblico delle città europee che non riescono ad adattarsi ai cambia­menti strutturali della società.

Come ogni anno, con l’arrivo della stagione estiva, aumentano gli sbarchi di migranti sulle coste italiane. Quelle meridionali sono le più esposte a questi arrivi, sebbene le rotte ed i luoghi di sbarco cambino negli anni adeguandosi ai nuovi equilibri geopolitici della regione me­diterranea 1 e, più in generale, alla rete di relazioni ed interazioni esi­stenti tra paesi di partenza e quelli di arrivo2• Su Lampedusa, avampo­sto italiano nel Mediterraneo, confluiscono, o sono fatte confluire, le navi in rotta verso l’Italia. Una volta sbarcati, i migranti sono ospitati nel piccolo centro di permanenza temporanea e assistenza (CPTA) dell’isola. Il centro, oggetto di numerose critiche per irregolarità proce­durali e presunte violazioni dei diritti umani da parte di istituzioni e organizzazioni internazionali e europee, tra cui il Parlamento Euro­peo, la Corte Europea per i Diritti Umani, il Comitato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e Amnesty International, occupa un ruolo centrale nella costruzione retorica della presunta emergenza immi­grati in Italia. In altre parole, il sovraffollamento del CPTA di Lampe­dusa – che, è bene sottolinearlo, è di dimensioni limitate ed è dotato di scarse risorse e capacità di accoglienza – diventa la metafora attraver­so cui in Italia si costruisce il mito dell’invasione.

Dossier: Donne, emigrazione ed emancipazione

In questo numero di Studi Emigrazione sono presentati quattro contributi fra loro collegati dall’intento di affrontare in maniera pro­blematica il tema della migrazione femminile e di sviluppare un’anali­si del fenomeno da diverse prospettive, avvertite come più significative per comprendere quanto e in che modo la scelta delle donne di “migra­re” sia anche legata ad una prospettiva di “emancipazione” femminile.
La letteratura esistente in merito ha evidenziato la recente, sem­pre maggiore attenzione, verso un fenomeno per molto tempo trascura­to perché automaticamente ricondotto a quello dei ricongiungimenti familiari attivati dai migranti uomini. L’attenzione dei ricercatori e il moltiplicarsi delle indagini sulle migrazioni femminili hanno, d’altro canto, evidenziato che esse condividono aspetti propri dei flussi migra­tori intèrnazionali e aspetti che ne fanno, invece, un fenomeno specifi­co nell’ambito delle migrazioni tout court.
Non v’è dubbio che la scelta di migrare si configuri come una “scelta obbligat_a” e quindi come una “non scelta” sia per gli uomini che per le donne. E il caso delle iv.igrazioni per motivi di lavoro, le cui modalità d’attuazione sono spesso dettate dallo squilibrio demografico, dal forte divario del tenore di vita fra i paesi d’emigrazione e quelli d’immigra­zione così come dalle possibilità giuridiche di lasciare il paese d’origine e di entrare nel paese d’accoglienza o di aggirare gli ostacoli giuridici alla migrazione e all’inserimento nei contesti d’arrivo.

Pochi anni or sono Andreina De Clementi, storica dell’emigrazione italiana, scriveva: «In coincidenza con periodi di forte espansione capi­talistica e delle correlate turbolenze del mercato del lavoro internazio­nale, il nostro paese ha conosciuto due grandi cicli migratori, l’uno com­preso grosso modo tra il 1870 e il 1920 e l’altro tra il 1946 e la crisi petro­lifera del 1973. Mentre, però, il primo è stato scandagliato in lungo e in largo da una folta pattuglia di studiosi che hanno ormai riempito intere biblioteche, non si può dire altrettanto per il secondo, che risulta a tut­t’oggi, salvo qualche pregevole eccezione, assai poco esplorato. La sto­riografia italiana e le scienze sociali italiane condividono questa omis­sione con la comunità scientifica internazionale e, per sincerarsene, ba­sta sfogliare una delle più recenti e documentate sintesi di uno speciali­sta come Klaus Bade, dove al secondo dopoguerra sono dedicate poche informazioni essenziali a tutto vantaggio della successiva immigrazio­ne dai paesi extraeuropei. È facile prevedere che il perdurante sbalordi­mento occidentale, la mole dei problemi e la costante attualità di questo fenomeno tenderanno a monopolizzare il campo della ricerca»

Giovanni Battista Scalabrini, profeta dei migranti
Il senso di un centenario

Giovanni Battista Scalabrini muore a Piacenza, dov’era vescovo, il 1 ° giugno 1905. Quest’anno centenario è quindi l’occasione per rivisita­re la sua visione profetica del fenomeno migratorio.
L’intuizione originaria
In Milano, parecchi anni or sono, fui spettatore di una scena che mi lasciò nell’animo un ‘impressione di tristezza profonda. Di passaggio dalla stazione vidi la vasta sala, i portici laterali e la piazza adiacente invasi da tre o quattro centinaia di individui poveramente vestiti, divisi in gruppi diversi. Sulle loro facce abbronzate dal sole, solcate dalle rughe precoci che suole imprimervi la privazione, traspariva il tumulto degli affetti che agitavano in quel momento il loro cuore. Erano vecchi curvati dall’età e dalle fatiche, uomini nel fiore della virilità, donne che si traevano dietro o portavano in collo i loro bambini, fanciulli e giovanette tutti affratellati da un solo pensiero, tutti indirizzati ad una meta comune … Erano emigranti.
Appartenevano alle varie provincie dell’Alta Italia ed aspettavano con trepidazione che la vaporiera li portasse sulle sponde del Mediter­raneo e di là nelle lontane Americhe ove speravano di trovare meno av­versa la fortuna, meno ingrata la terra ai loro sudori. Partivano quei poveretti, alcuni chiamati da parenti che li avevano preceduti nell’eso­do volontario, altri senza sapere precisamente ove fossero diretti, tratti da quel potente istinto che fa migrare gli uccelli. Andavano nell’Ameri­ca, ove c’era, lo sentirono ripetere tante volte, lavoro ben retribuito per chiunque avesse braccia vigorose e buona volontà.

Germany and Italy possess a long common history of migration. It­aly was one ofthe most important countries of origin of immigrants in Germany since the beginning of the “guest worker” recruitment and today Germany is home to the most numerous Italian community in an European country. Both countries were in the past, and still are, linked by a complex migration system. The scope of this introductory article is to provide a summary description of this migration system and its scholarly reflections. The article includes a statistica! overview of migration flows between Italy and Germany, as well as of the Ital­ians living in Germany. This overview is followed by a brief survey and documentation of scholarly research on the topic. More detailed as­pects are not further investigated and the interested reader should see the specific articles of this dossier for further details and analysis.

La salute: un diritto per tutti
La situazione europea circa l’accesso dei migranti alla protezione sanitaria è abbastanza critica. Nel 2000, la Commissione dei migranti, dei rifugiati e della demografia dell’Assemblea parlamentare del Con­siglio d’Europa rilevava che in numerosi paesi europei i migranti, so­prattutto quelli in situazione irregolare, non erano coperti dai servizi medici e sociali oppure non beneficiavano di servizi medici socialmente e culturalemente adatti ai loro bisogni.
Con questa situazione, che accomuna la maggiornaza dei paesi eu­ropei, è abbastanza comprensibile perché si parla poco della salute de­gli immigrati e, in genere, se ne vorrebbe parlare sempre meno.
L’argomento, infatti, è “classificato” come tema a rischio, perché ri­tenuto capace di favorire il discorso xenofobo sul “pericolo” rappresen­tato dalle popolazioni straniere di diffondere ogni sorta di malattia in­fettiva e sui “costi”, giudicati eccessivi e non dovuti, che le loro cure pro­durrebbero sul sistema sanitario nazionale.

Il fenomeno della mobilità delle risorse umane per la scienza e la tecnologia ed il problema, ad esso collegato, della “fuga dei cervelli” so­no stati analizzati ormai da oltre quaranta anni, anche se l’interesse per queste tematiche, sia sul piano scientifico che su quello politico, è stato abbastanza discontinuo.
Negli ultimi anni, questi argomenti sono però stati oggetto di un numero crescente di studi, data l’importanza assunta dalla scienza e dalla tecnologia nonché dal legame sempre più stretto tra sviluppo scientifico e sviluppo economico nel XX secolo. Le risorse umane desti­nate ai proc!:lssi di innovazione si sono dimostrate essere l’elemento fondamentale per sviluppare e mantenere la competitività di un siste­ma-paese: è quindi naturale che all’incremento qualitativo e quantita­tivo di queste risorse venga assegnata una priorità molto alta in tutti i paesi industrialmente avanzati.

Contributi sull’emigrazione italiana del secondo dopoguerra

L’emigrazione italiana dopo la seconda guerra mondiale riveste un’importanza cruciale per il suo impatto sulle società di partenza e di arrivo, sulle istituzioni internazionali, e di conseguenza ha stimolato un fervido dibattito politico e storiografico, che, però, si è stemperato mano a mano che i flussi rallentavano. Per circa tre decenni dal 1950 al 1980 le partenze verso l’estero e i grandi movimenti interni hanno qua­si convinto gli storici, i demografi, i sociologi, e altri studiosi interessa­ti, a riscrivere le vicende migratorie, soprattutto di fine Ottocento, e a immaginare una storia nazionale dominata dalle migrazioni.1 Tutta­via verso la fuetà degli anni ’70, la spinta a partire era diminuita, an­che se non scomparsa, crescevano i rientri specie dall’Europa, e l’Italia entrava in un nuovo periodo, dominato dalla coscienza di aver rotto con il passato.

Alla scoperta dell’Europa.
Nuove migrazioni dall’America Latina

I paesi europei sono oggi attraversati da nuovi flussi migratori dal­l’America Latina, poco osservati dalla ricerca sociale anche se quanti­tativamente significativi e qualitativamente interessanti; si tratta di una fenomeno recente e di rilievo dato che nei primi anni ottanta le mi­grazioni dal continente concernevano ancora esiliati politici in fuga da regimi autoritari o artigiani, musicisti di strada e commercianti, come quelli descritti da Kyle1 nella sua ricerca sui transnational peasants.
Da molti decenni l’America Latina produce ingenti movimenti di popolazione verso il Nord America; proprio l’esperienza d’oltre atlanti­co mette in luce una forte capacità di aggregazione e di mobilitazione dei latinos, in grado di reinventare la cittadinanza, riattivare canali di partecipazione desueti (partiti, sindacati … ), contaminare la cultura delle città globali attraverso la musica e la partecipazione nel mondo dello spettacolo e della comunicazione, far emergere fiorenti economie etniche, diffondere una lingua veicolare concorrenziale con quella del­la maggioranza wasp, costruire élite politiche indispensabili sul mer­cato elettorale; si tratta tuttavia di un’esperienza complessa in cui gli elementi sopra citati si coniugano spesso con difficoltà di integrazione, permanente subordinazione sul mercato del lavoro, stigmatizzazione sociale e segregazione urbana.

Origini, sviluppo e prospettive della
Convenzione internazionale sui diritti dei migranti
Il 1 luglio 2003 è entrata in vigore la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i migranti e le loro famiglie. Come previsto dall’art. 87, per entrare in vigore, doveva essere ratificata da almeno venti stati. La ventesima ratifica è stata depositata dal Guate­mala il 14 marzo dello stesso anno, permettendo a questo strumento di diritto umanitario di avere efficacia di legge. Definito il segreto meglio mantenuto dalle Nazioni Unite, la Convenzione può ora passare al va­glio dell’applicazione per misurarne l’effettiva efficacia come strumen­to di protezione dei migranti. Sicuramente si moltiplicheranno le ana­lisi per enuclearne pregi e limiti. Non può però mancare tra coloro che si interessano di emigrazione la domanda su quale sia l’origine di que­sta Convenzione, come mai ci sia voluto così tanto tempo per la sua en­trata in vigore, e quali possano essere i possibili sviluppi per una ade­sione più ampia da parte degli Stati.

Integration of migrants in Europe: data sources and measurement in old and new receiving countries

The level and type of insertion of foreign immigrants and their descendents in various sectors of the host society have always been a topic of considerable interest not only for researchers in the social sci­ences but also for legislative bodies, central and local governments, trade-union organisations and public opinion. The determination of the rights and duties of newcomers, the effects of the immigrant pres­ence and the optimal size of further foreign immigration have indeed been controversia! issues in the politica! debate in various countries, and in some cases, have been the key topic of lively election campaigns. In the past 30 years, concern for these issues has become even more im­portant. This is motivated by the social and economie changes occur­ring in the host countries (in particular, the rise in unemployment lev­els, the restructuring of the production system and the weight of the in­forma! economy) together with the changes in the causes and charac­teristics of international migration (in particular the prevalence of push factors over pull factors, the globalisation of migration and the greater relevance of unauthorized migration).

“Le stesse differenze”
Politiche ed esperienze di educazione interculturale in Europa

Al di là delle differenze di tradizioni ed approcci nei vari sistemi educativi in Europa, esiste da tempo una ricerca di confronto e di dialo­go sulla questione della “educazione interculturale”. Che cosa abbiamo in comune da condividere e promuovere nelle buone politiche educati­ve e nelle buone pratiche a scuola? Come promuovere una discussione costruttiva in questo senso? La prospettiva comparata è senz’altro d’aiuto in questo tipo di ricerca, ma bisogna essere consapevoli anzitut­to della terminologia. Dimensione “multiculturale” o “interculturale”? Educazione “anti-racist”, oppure “per l’integrazione”? Italiano come “seconda lingua” o “lingua di contatto”? E perché i britannici parlano, invece, di EAL – “English as an additional language”? La scelta delle parole riflette le preoccupazioni più presenti, e le priorità di volta in volta attribuite, nei vari sistemi educativi.

En el ultimo cuarto del XIX, el Uruguay se presenta corno un pais agropecuario -en realidad, esencialmente ganadero -, con una cre­ciente inserci6n en el mercado mundial, en tanto exportador de mate­rias primas -cueros, lanas, tasajo y, a comienzos del XX, carnes conge­ladas y enfriadas -e importador de manufacturas, capitales y mano de obra. No obstante, la economia agroexportadora fue generando ciertas demandas que posibilitaron un espacio para algunas actividades de transformaci6n: bolsas de arpillera para harinas y cereales; envases de hojalata para las carnes conservadas y barriles para el tasajo, todos ellos productos requeridos para la exportaci6n; astilleros y talleres pa­ra la construcci6n de embarcaciones destinadas a la navegaci6n de ca­botaje y la reparaci6n de emergencia de los barcos que atendian los iti­nerarios del Mediterraneo al Plata. Muy antiguas las carpinterias que fabricaban y reparaban los toscos carros utilizados para el transporte de materias primas del campo a la ciudad, de las barracas al puerto.

The quest for migration governability in Latin America

Migration policies in Latin America have followed similar stages in different countries. From the encouragement of massive immigration at the end of the 19th and beginning of the 20th centuries, through the restriction derived from the 1929 crisis and then the Second World War, to the selective promotion during the postwar period and the rela­tively open approach to intraregional and extraregional migration in the last decades, the generalised concern from Governments focused on how to manage the flows arriving in their respective countries, with an explicit disregard of those nationals who decided to live abroad.
The decade ofthe ’90s has dramatically changed the orientation of migration flows, exponentially increasing Latinamerican emigration and, therefore, altering the governmental and civil society perception of the phenomenon and the policies on the matter.
Changes in migration flows have in turn taken place within the context of a migration “governability crisis” in which the State unilat­era! answers are insufficient, giving rise to several bilatera! and multi­lateral agreements as alternatives towards concerted governability of the phenomenon.

Migration to Germany and German migration policies have cer­tain peculiarities which are essential when looking at the processes of migration and integration of immigrants. On the one hand, Germany has one of the highest immigration rates; on the other hand, for a long time Germany officially denied to-be an immigration’s country. When Germany started to recruit immigrants from Turkey, Italy, Greece, Spain and Portugal in the late 1950’s and Yugoslavia in the early 1960’s this was considered to be a short-term solution to bridge periods of extreme labour shortage. Work permits were granted only fora spe­cific period of time, the same for their prolongation, granted only if nec­essary to the labour market [Seifert, 1995]. In this way German au­thority intended to keep the foreign labour force flexible and adaptable to the labour market demand. During the economie recession of 1966- 67, this “guest worker system” had the desired effects and the number of foreign workers decreased sharply. During the subsequent period of economie recovery the number of foreign workers increased again [Hollifield, 1992].

In the last decades, Islam has made his appearance in the Euro­pean context: in the duration of a generation, it has become the second religious community in Europe (and in Italy), ranking second after Christianity. Islam is, today, a definitive and irreversible presence – a turning point in history for “the West”, and for Islam itself.
As a matter of fact, in Europe we are witnessing a process of “de-ethnicisation” of Islam, meaning a progressive-even if incomplete and not inevitable – detachment from its own ethnic, national and lin­guistic roots. In the meanwhile, a process of “Europeisation” is under way. There appears to be a shift from an Islam which is only “physi­cally” in Europe, to an Islam that is a product of Europe itself, as high­lighted in the article by Stefano Allievi (Editor of the Special Issue), Is­lam in Europe, European Islam.
Within European societies, the idea of multiculturalism itself is be­ing challenged, in relation to the growing importance of Islam. The ar­ticle by Felice Dassetto, European Islam, multiculturalism and the complexity of pluralism, underlines the crucial theoretical questions raised by the presence of Islam in Europe.

Gli italiani in Francia dopo il 1945

Negli ultimi venti anni, la storia dell’emigrazione/immigrazione italiana in Francia ha fatto molti passi avanti, tanto che ora essa è for­se la meglio conosciuta delle immigrazioni straniere in questo paese. Più che al momento dell’abbandono della terra d’origine è ai percorsi all’interno del paese di approdo ed all’integrazione nella società che si sono interessati gli studiosi francesi. Già il primo convegno organizzato dal CEDEI (Centre d’Etudes et Documentation sur l’Emigration Ita­lienne) nel 1987 attestava l’importanza delle ricerche fin da allora in corso sul periodo tra le due guerre, tanto sul versante della dimesione sociale che su quello politico visto che quelli furono anche gli anni del fuoruscitismo antifascista.

Migration into Southern Europe: new trends and new patterns

This special issue of Studi Emigrazione presents a collection of nine papers on a variety of new immigration phenomena in Southern Europe. Some of the papers refer to individua! countries, even cities; others are comparative. Many of the papers are by young scholars and derive from their recent or ongoing doctoral field research in the re­gion. And several articles are by authors who are, or have been, con­nected to the Sussex Centre for Migration Research and the Sussex European Institute, both part of the University of Sussex, UK. The methodological approaches range from overviews and interpretations of statistics and policy to ethnographic enquiry at the local level.
Whilst not covering all aspects of the diverse migra tory phenome­non in the region, the papers do collectively attempt to represent some of that diversity, both thematically and with respect to geographical coverage. After two overview papers (King and Ribas-Mateos; Baldwin­Edwards) which examine statistics, types and contexts of migration, and policy responses, the sequence of papers moves from Lisbon through Spain (Granada, Barcelona) to Italy and then Greece. Appro­priately, given the strongly gendered nature of immigration into Southern Europe, two papers (Dietz and El-Shohoumi; Zontini) explic­itly focus on the migration, family, work and intercultural experiences of women.

In the modern and contemporary age, international migrations, combined in a complex and dynamic process with internal migrations, have undoubtedly favored, from the short-term or structural point of view, a new geographical equilibrium between population and resour­ces on the macro level, and have been one ofthe most important tools for satisfying the need for survival or expectations of socia! and professional mobility on the micro level. International migrations, though character­ized by different dynamics and characteristics over the past 150 years, so much so that it is impossible to identify a genera! theory, had never affected different areas of the globe so extensively. This aspect has been a specific feature of migrations in our time after the gradua! growth of the areas of origin and partly of migration destination areas and the di­versification of the migration streams. The process of globalization of in­ternational migrations has followed that of economie globalization, highlighting the complex relationships among different areas, popula­tions, economies, societies and cultures, which are increasingly linked with the spread of information and the speed of communications.

Il fenomeno ‘coppie miste’, oggi in netta crescita nella realtà italia­na, induce a metterne a fuoco le dinamiche socio-culturali. Questo stu­dio vuole porsi talune domande che, in merito, appaiono centrali e ten­tare di dar loro prime e pur parziali risposte. Lo si farà in base ai risul­tati di una ricerca empirica qualitativa, di taglio esplorativo, condotta
su famiglie di italiani e nordafricani residenti in un territorio di rilievo specifico: quello di Reggio Emilia, ove negli ultimi anni la percentuale dei matrimoni misti sul totale di quelli celebrati si è stabilizzata su va­lori oscillanti intorno al 10% (Bertolani, 2001).Quali premesse, tornano però utili alcune acquisizioni maturate nella letteratura sociologica sulle migrazioni, qui riprese da un’angola­tura differente. Occorre anzitutto tenere conto (prima parte) di alcune risultanze frutto di ricerche sulle modalità con cui il singolo e la fami­glia migranti riorganizzano i reticoli parentali o sociali e gestiscono nella vita quotidiana riferimenti culturali plurimi o confliggenti.

The essays in this issue are meant to stimulate new research in ap­plying the global criteria to the study of the history of early migration ofltalians to Germany between the XIX and XX century. Ercole Sori of­fers a broad analysis of the root causes of Italian emigration to central Europe, not only along the “space axis” in measuring and characteriz­ing the phenomenon, but also along the “time axis” (the “long-term ter­ritorial restlessness” of the Italian population, throughout the slow and difficult modernisation process). The Author examines the social stratification and segmentation of the job market, and the role of immi­grants in the productive and economie structures of the host countries. Christoph Corneli13en, for his part, introduces us to historiography with the comparative approach, perhaps the most creative and promis­ing form of investigative history, which includes three levels (the sub­jects, the element and the level of analysis).

Secondo Walzer (1987), nelle società occidentali è oggi possibile di­stinguere due categorie di persone: cittadini a pieno titolo e altri che non sono considerati tali, pur vivendo sullo stesso territorio, essendo riconosciuti per la maggior parte come residenti legali, e lavorando più o meno regolarmente. Egli ricorda come nell’antica Atene convivessero due tipi di residenti: gli ateniesi, cittadini a pieno titolo, e i meteci, stranieri tollerati in quanto utili ma sprovvisti di cittadinanza. A par­tecipare alle decisioni relative al governo della città erano ammessi so­lo i cittadini e non gli stranieri. E questa probabilmente, spiega Wal­zer, la forma di tirannia più comune nella storia dell’umanità: la nega­zione dell’appartenenza, che diviene il primo anello di una lunga cate­na di abusi (cfr. su quest’ultimo aspetto Dal Lago, 1999). Lo status dei lavoratori migranti richiama allora non delle catego­rie specifiche di persone da tutelare e proteggere, ma tocca un punto fondamentale di una società che si mostra incapace di invertire quella tendenza perniciosa che colloca nel cuore della democrazia la divarica­zione tra cittadini a pieno titolo e non cittadini, forse ammessi in quan­to disposti ad accollarsi i lavori peggiori, ma sempre relativamente e in maniera condizionata. Proprio il trattamento degli immigrati sembra far segnare una battuta d’arresto alla tendenza storica delle società oc­cidentali verso una maggiore eguaglianza di diritti e di opportunità (Entzinger, 1990: 185).

Intercultura in Italia. Una rassegna bibliografica
Nel 1987 “Studi Emigrazione” ospitava una selezione di contributi nazionali e internazionali sul tema “multicultura e intercultura” cura­ta da Graziano Tassello. Come altre raccolte bibliografiche del tempo, la presenza di testi e articoli di autori italiani o in lingua italiana risul­tava alquanto limitata 1 perché questo tema aveva ancora poca riso­nanza. Non esistevano, infatti, in Italia le condizioni per un discorso che, invece, era già maturo per altre società multiculturali, in paesi co­me USA, Australia, Canada, strutturati in seguito alla migrazione, o Gran Bretagna, Francia e Germania, imperi coloniali impegnati nel secondo dopoguerra anche in processi di immigrazione da lavoro, da essi stessi incentivati. In Italia -se si eccettuano alcuni Centri culturali e scientifici sen­sibili al tema della migrazione o alcuni studiosi interessati al tema del bilinguismo/biculturalismo e dei suoi effetti sui processi formativi – erano ancora pochi coloro che evidenziavano le implicazioni negative di una pedagogia nazionale monoculturale, poco aperta alle tante di­versità culturali che già attraversavano il paese.
La sensibilità verso i problemi connessi con il pluralismo linguistico, con la multietnicità e con la diversità culturale nasce quando anche l’Italia, nella seconda metà degli anni ’80, si trova a dover affrontare il fenomeno migrazione non più come luogo di partenza di emigranti ma come paese di accoglienza. Investita da ondate migratorie crescenti di gruppi provenienti dai paesi del terzo e del quarto mondo, anche la socie­tà italiana si è andata sempre più diversificando ed ha dovuto confron­tarsi con i tanti dilemmi che la convivenza multiculturale fa sorgere.

The last decade of the XX century has been characterised by the economie and social revolution in the former Socialist countries, by the raise of new states, the ethnic actual and latent conflicts, the dramatic movements of people both internally and within countries in the area.
One significant example is the former Social Federal Republic of Yugoslavia, whose population was formed by people of different na­tionalities living together since centuries befòre being compelled to flee as a consequence of the recent conflicts. According to the 1996 cen­sus, there were 646.000 war displàced persons in the former Yugosla­via, ofwhich 618.000 in Serbia and 28.000 in Montenegro. Those WAP (war affected persons) represent 6.3% of the total population in Serbia and 4.5 in Montenegro. However, since migration has been accompa­nied by a process of urbanisation, the percentage increases in some major towns: in Belgrade, 1/4 of the population is constituted by war immigrant population; in Vojvodina, the percentage is 42%; on the coast of Montenegro, 1 out of 2 inhabitants is a war refugee – on the coast, the movement is motivated by the consistent tourist flowt which creates better opportunities of economie integration.

Sul sentimento di paura dei cittadini residenti nei confronti degli immigrati
Due indagini empiriche recenti, l’una a cura della Fondazione Agnelli di Torino (marzo 2000), l’altra a cura della Fondazione Nord­Est di Vicenza per conto dell’Agenzia Romana per il Giubileo (febbraio 2000), ci forniscono informazioni utili e dati preziosi per valutare l’atteggiamento degli italiani nei confronti di quel fenomeno sociale di grande complessità che è l’immigrazione e, più in generale, la dinami­ca dei flussi migratori. Vediamo di richiamarne, in breve, gli elementi di maggior significato ai fini del presente discorso, che è quello di arri­vare a proporre un approccio alternativo, rispetto a quelli esistenti, a favore di una politica del riconoscimento delle diversità capace di superare le aporie delle usuali politiche dell’integrazione.

Si parla molto di immigrazione in relazione ai temi del lavoro, della casa, della vita familiare e dell’educazione dei figli. Moltissimo e, molte volte sbrigativamente, del rapporto fra flussi migratori illegali e au­mento della criminalità, piccola o grande che sia. Poco sappiamo dell’i­dentità religiosa delle persone che sono emigrate in Italia. O meglio, c’è un certo interesse dei grandi mezzi di comunicazione di massa nei con­fronti soprattutto dell’islam, “importato” dagli immigrati. In questo caso l’islam appare una religione immutabile e prescrittiva, che non la­scia molto spazio alla ricerca spirituale individuale e alla mediazione fra le ragioni della ragione e le ragioni della fede. La fede musulmana è spesso, infatti, associata con l’integralismo e l’intolleranza, chiusa al dialogo con le altre culture.
Se ne parla astrattamente e per stereotipi senza prestare molta at­tenzione a come concretamente i musulmani e le musulmane vivono la loro esperienza di fede. Si preferisce porre l’accento più sul loro senso di appartenenza (presunta) ad una comunità religiosa, che sul vissuto re­ligioso che ogni individuo sperimenta nella quotidianità. Si tratta di due punti di vista diversi: se si prendono le mosse dal collettivo, si ten­derà a vederne i tratti unitari e globalizzanti; il rapporto personale fra un individuo e l’universo di senso religioso cui aderisce o in cui si rico­nosce viene relegato sullo sfondo. Al contrario, se rovesciamo il punto di vista, la dimensione religiosa apparirà in tutta la sua autonomia, co­me sfera di significati che consentono ad una persona di orientare il proprio agire nella vita individuale e nelle relazioni sociali.

Gli immigrati di cui si occupano prevalentemente le ricerche econo­miche e sociali in Italia sono quelli che entrano nel sistema economico italiano per ottenere migliori condizioni di vita, per sé e/o per i propri familiari, rispetto a quelle conseguibili altrove.
Le condizioni di vita sono sempre più definite in termini di benesse­re, o well-being, nel senso attribuito da A. Sen (Sen, 1987), come capaci­tà di scegliere in modo da ” … godere di una vita sana e creativa e di uno standard di vita decente … ” (Unpd, 1998).
Tale benessere ha varie componenti, definibili anche in termini quantitativi. Vale la pena di precisare che il reddito disponibile, a livel­lo individuale e familiare, per quanto sia solo una componente del be­nessere, può rappresentare l’accesso alle risorse necessarie per avere un tenore di vita dignitoso, per godere di una vita sana, di mobilità fisi­ca e sociale e per partecipare alla vita collettiva.
La fonte normale di reddito è il lavoro prestato nei vari processi pro­duttivi, soprattutto per gli immigrati che entrano in nuovi sistemi eco­nomici e sociali senza portare seco ricchezza, materiale e finanziaria, accumulata e fruttifera.
Il lavoro, però, non ha solo il significato di fonte di reddito per i lavo­ratori. Esso, oltre ad assumere il significato di fattore di produzione, con i connessi aspetti di costo, per chi impiega il lavoro nei processi pro­duttivi, rappresenta una componente di benessere, in quanto via per ottenere e mantenere la partecipazione libera, attiva e responsabile al sistema economico e sociale (Frey, 1997). In questa luce, appaiono di notevole importanza le condizioni di lavoro, cioè quelle a cui il lavoro è prestato.

Nel presentare la ricerca sarà bene premettere qualche informa­zione sul progetto, la sua ispirazione teorica, la metodologia, i tempi di svolgimento e i principali risultati conseguiti.
Il progetto parte da una convinzione di fondo: i processi migratori in corso in Italia possono creare le condizioni per l’insorgere di nuovi conflitti a sfondo etnico. Sul piano teorico, piuttosto che seguire le tan­te ispirazioni “multiculturaliste” o “anti-razziste” o, ancora, la linea militante della “società-poco-razzista”, abbiamo preferito fare una di­versa scelta teorica utilizzando la tradizione degli studi sul conflitto e, in particolare, gli studi di Simmel, Coser e T. Schelling. Parlare di con­flitti, infatti, vuol dire far emergere dall’analisi non solo la soggettività dei membri della società ospitante che opera discriminazioni sulla ba­se della “razza”, dell’etnia, della cultura dei migranti, ma anche quella di persone provenienti da tanti e diverse parti del mondo con un pro­getto migratorio in nome del quale si compiono sacrifici, rinunce, si in­traprendono conflitti con i nativi, si compiono violazioni della legalità vigente nella società italiana, si cerca di manipolare le sue norme cul­turali cercando di adattarle alle proprie per continuare, in condizioni molto mutate, a dare senso alla propria vita e allo stesso progetto mi­gratorio. Il concetto di “conflitto” e di “antagonismo” consente di guar­dare ai due lati della relazione tra migranti e nativi. Inoltre, così facen­do, possono venire alla luce anche gli eventuali aspetti solidaristici e cooperativi esistenti tra loro.

Nel 1896 Donato Vozza, incettatore di fanciulli nativo di Casalvie­ri, condusse a St. Denis, quartiere operaio situato nella banlieue pari­gina, tredici minorenni provenienti da varie località della valle del Liri e della limitrofa val di Comino (circondario di Sora)1 allo scopo di im­piegarli come garzoni in un’importante vetreria della zona: la vetreria Legras. Qualche tempo più tardi, in seguito sia ai massacranti ritmi la­vorativi cui erano assoggettati in quella fabbrica sia alla vita di stenti che conducevano fuori del lavoro, tre dei ragazzi appartenenti alla compagnia del Vozza morirono, mentre un quarto, costretto a lavorare nonostante si fosse gravemente ammalato di tubercolosi, venne fatto rimpatriare a spese di una benefattrice italiana di alto rango che vive­va a Parigi.

L’immigrazione straniera rappresenta, ormai già da qualche anno, un tema di discussione su cui capita sempre più frequentemente di im­battersi sulle pagine dei giornali o nei programmi televisivi e radiofo­nici, a conferma della crescente attenzione con cui la società italiana nel suo complesso guarda ad un fenomeno che costituisce una sostan­ziale novità per il paese. L’interesse ha ormai da tempo travalicato quella ristretta cerchia di specialisti e di operatori che per primi aveva­no intuito l’importanza dell’immigrazione, arrivando a raggiungere la gran parte degli strati e delle componenti della società. Com’è inevita­bile, in una società della comunicazione, l’intensità e la frequenza dei messaggi non sempre è sinonimo di qualità, specie su un tema delicato e d’impatto come quello dell’immigrazione. Argomento, inoltre, dalle evidenti ed importanti ricadute politiche e dove, di conseguenza, conte­nuti, modalità e forme dell’informazione riescono con più difficoltà, o non riescono affatto, a prendere le distanze dai condizionamenti e dagli interessi dei diversi orientamenti culturali. Lasciando ad altri, e ad al­tre competenze, lo studio dei complessi rapporti tra comunicazione mass-mediatica e immigrazione straniera, appare interessante analiz­zare come questo insieme, spesso confuso e magmatico, di messaggi sia stato recepito dalla pubblica opinione e in che termini sia stato elabo­rato sotto forme di conoscenze, valutazioni ed idee.

Il presente contributo riprende e aggiorna il testo che introduceva il volume ciel Centro Studi Emigrazione sulla retrospettiva storico-istituzionale dei testi normativi che regolavano la diffusione della lingua italiana nel mondo, con par­ticolare riferimento alle comunità dei nostri emigrati all’estero (CSER 1996). I motivi del suo aggiornamento stanno nella pubblicazione della nuova biblio­grafia generale sull’argomento e nella necessità cli dare conto di alcuni nuovi fe­nomeni che, iniziando a presentarsi al momento della realizzazione del prece­dente lavoro, solo oggi possono essere analizzati e discussi con sicurezza di dati e di modelli di interpretazione. Anche il presente contributo, comunque, si mu­ove a partire dai presupposti e lungo le linee segnalate nel precedente. Nel ri­mettere mano al lavoro di aggiornamento della bibliografia generale sugli studi sociolinguistici relativi all’emigrazione e al precedente saggio è difficile non riandare con la memoria all’opera di P. Gianfausto Rosoli, che coniugava in mo­do mirabile sapienza e carità, ed è impossibile non ringraziare P. Graziano Tas­sello, con il quale si ebbe la fortuna cli condividere la realizzazione della biblio­grafia che fa da base all’attuale.

In Australia, Italians are the largest group of non-British origin. The latest Census figures show that more than 250,000 Italian-born are residents of Austra­lia (Australian Bureau of Statistics, 1996).
Due to the discovery of gold in the Western Australian goldfields, from the turn of the century onwards, Western Australia became the main destination of Italian migration in the country. While in 1891 only 36 Italians were officially listed as living there, they increased to 1,354 in 1901 ancl almost 2,000 in 1921, al­though the arrivals of Italian nationals for the same periocl was over 17,000 (Borrie, 1954). This is due to the fact that – as Borrie points out – the ” … immigration of almost 18,000 Italians … was accompanied by an emigration of not less than 10,000 … There is evidence that many genuine settlers returned temporarily to Italy after working a few years in Australia” (Borrie, 1954, 52).

A distinct feature of tbe early 1990s is tbe appearance of tbe migratory questi on in tbe focus of tbe international community concern. An issue tbat fourty years ago was treated in accordance witb cbanging developments, as specific events occurred, rose to tbe top of governments’ agendas witb complex repercussions on tbe public worldwide.
A question normally limited to tbe realm of domestic policies passed tbat of bilatera! relations and finally reacbed tbe core of global problems of bumanity.
Now, wbat is tbe reason for tbis sudden leading role, centrai to tbe concern of states and tbe public opinion, especially in industrialized countries?
As a generai rule, tbe leading role and subsequent concern are attributed to tbc escalation of movements tbrougbout tbe world, caused in sending countries by tbe rapid demograpbic growtb, tbe constant deterioration of tbe environment, tbe decay in tbe economie and socia! areas and tbe outbreak of conflicts. In turn, in receiving countries, tbe outcome is a negative impact on labour markets, security and socia! services.

With some 57 percent of the world’s inhabitants and three of the world’s four largest nations Asia must loom large in any discussion of global population trends. This is nowhere so true as in the analysis of interQational migration. However, some 30 years ago reviews of population trends in the region, such as that presented at the Second Asian Population Conference of 1972 (ECAFE Secretariat 1972) failed to mention international migration at ali, so limited was it in scale and significance at that time. In the late 1990s the situation is quite different with almost ali nations in the region being significantly influenced by movements across their boundaries. This transformation has to some extent been part of wider processes of globalisation which have seen international migration escalate in significance along with flows of capita!, information, goods and ideas. However, it has also been very much sha ped by the profound political, economie and socia! changes which have swept across the region in the last two decades.

La presente bibliografia, intesa come un primo sussidio dell1stituto di Studi Superiori della Mobilità Umana, promosso nell’ambito delle celebra­zioni per la beatificazione di Giovanni Battista Scalabrini, si propone di offrire al lettore una prima elencazione degli articoli apparsi su riviste di teologia (e filosofia) negli anni 1980-1997 concernenti i movimenti migra­tori.
Mentre nelle scienze politiche, sociali ed economiche, il fenomeno delle migrazioni da tempo costituisce un ambito importante di ricerca, la nostra bibliografia mostra che, ad eccezione di alcune riviste, è verso la fine degli anni ’80 che la teologia sviluppa un certo interesse per il mondo della mobilità.

Siamo portati ad avvertire le immigrazioni quando queste assumono conno­tazioni quantitative che creano apprensioni o rischi sociali. L’opinione pubblica è comprensibilmente colpita da fatti di cronaca, o provocati o subiti, che interessano gli immigrati e psicologicamente si è propensi a fare condanne, anche sotto la pressione dei media (De Simoni, 1995), senza tener conto che un fenomeno così differenziato come le migrazioni non può essere ingabbiato in pericolose generalizzazioni.
Infatti, le immigrazioni attuali nel nostro Paese (ma la situazione non è difforme in tutte le altre Nazioni sviluppate) non sono costituite solamente da soggetti che si spostano sotto la necessità della sopravvivenza fisica e che aspirano ad un qualsiasi lavoro, anche sottopagato, anche umile e rifiutato dalla popolazione locale, anche illegale. Vi sono, invece, flussi quantitativamente modesti ma sicuramente molto significativi sul piano economico e sociale, costituiti da individui dotati di una specifica professionalità che si spostano sotto la spinta di fattori diversi da quelli che caratterizzano le “immigrazioni da sopravvivenza”.

Il 9 novembre Giovanni Paolo II proclamerà beato Giovanni Battista Scala­brini, vescovo di Piacenza e fondatore dei Missionari e delle Missionarie di S. Carlo (Scalabriniani/e), universalmente conosciuto come il padre dei migranti. La Federazione dei centri di studio sulle migrazioni “G.B. Scalabrini”, con sedi a Roma, Parigi, New York, San Paolo, Buenos Aires e Manila si ispira alle sue intuizioni in campo migratorio.
Per il CSER questo avvenimento religioso costituisce un ulteriore motivo per continuare nell’opera di mediazione culturale intrapresa e per mantenere vivo nella coscienza civile e religiosa e presso il mondo accademico il fenomeno delle migrazioni, coltivando lo studio e la ricerca, promuovendo una legislazione più giusta e più adeguata, collaborando con gli studiosi di emigrazione e stimolando il dibattito migratorio. La recente settimana di studio, organizzata a Roma dalla Federazione .”G.B. Scalabrini”, ha visto un confronto serrato tra gli addetti dei Centri e i maggiori studiosi delle migrazioni sul tema “Globalizzazione e migra­zioni”. Lo stile dell’incontro sintetizza bene lo spirito che anima l’équipe del CSER.

Questo saggio si propone di valutare l’apporto analitico del concetto di network nello studio dei movimenti migratori. La network analysis, nonostante la crescente fortuna della metafora della rete nel linguaggio e nell’immaginario collettivo, solo di recente è diventata parte integrante delle scienze sociali e solo raramente è stata applicata allo studio dei movimenti migratori. È vero che il concetto e l’immagine di “rete sociale” hanno orientato numerosi studi sull’emi­grazione; ma il loro uso è stato quasi esclusivamente metaforico: senza specifi­care, cioè, le proprietà morfologiche e interazionali delle reti sociali e metterle in relazione con il comportamento degli individui che ne sono al centro. In altre parole, senza l’impiego preciso e ristretto dei metodi di formalizzazione statistica e matematica.

Negli ultimi due decenni alcuni progetti di ricerca negli archivi ecclesiastici romani hanno portato alla inventariazione di una cospicua parte delle carte relative al Nord America nell’Archivio Segreto Vaticano, nella Biblioteca Aposto­lica Vaticana, nell’Archivio storico della Congregazione “de Propaganda Fide”, nell’Archivum Romanum Societatis Iesu,’ nonché a sondare l’analoga documen­tazione conservata negli archivi centrali dei cappuccini, dei domenicani, delle Figlie di S. Maria della Provvidenza (guanelliane), delle Maestre Pie Filippini, dei pallottini, dei salesiani, degli scalabriniani e del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti e degli Itineranti. Queste ricerche hanno prodotto un numero ragguardevole di saggi e inventari, nei quali si trovano molti riferimenti alla presenza italiana nel Nord America nei secoli XVII-XX

È in corso di stampa per le Edizioni Studium di Roma un volume che raccoglie i risultati di una ricerca condotta presso la Albert-Ludwigs-Universitat Freiburg sulle iniziative di tutela avviate dalla Chiesa cattolica a favore dei lavoratori italiani emigrati nell’Europa centrale fino alla prima guerra mondiale. 1 Si anticipano in questa sede alcune riflessioni di carattere generale, riguardanti in maniera specifica l’emigrazione italiana in direzione della Germania.
L’apporto fornito dalla manodopera straniera nei processi di industrializza­zione dell’Impero tedesco fra Otto e Novecento è stato oggetto in tempi recenti di una particolare attenzione da parte della storiografia tedesca. Più che insistere, come si era fatto in passato, sui meccanismi di assimilazione e di integrazione dei gruppi etnici presenti e attivi in Germania fino allo scoppio della prima guerra mondiale, l’interesse è ora rivolto maggiormente al contributo fornito dai lavo­ratori stranieri allo sviluppo dell’economia tedesca nella fase di forte industria­lizzazione che va dal 1870 al 1914.

Nel corso del 1995 l’evoluzione della disciplina della condizione giuridica in Italia dei cittadini extracomunitari ha accentuato la tendenza degli anni prece­denti: interventi normativi disomogenei, dispersivi e controproducenti, ispirati a volte a principi in aperta contraddizione, e concretizzati in disposizioni legisla­tive e istruzioni ministeriali farraginose e talvolta dichiarate costituzionalmente illegittime.
Mentre è continuato uno stanco dibattito parlamentare su ipotesi di riforme e integrazioni parziali della vigente legislazione (L. n. 39/1990) sull’immigrazio­ne, è proseguito un visibile calo di attenzione dei pubblici poteri circa la possibilità di intraprendere politiche migratorie efficaci e si è anche assistito ad una sempre maggiore incapacità degli organi amministrativi di attuare in via ordinaria le disposizioni già attualmente in vigore, tanto che di fatto il Governo dal 1994 ha omesso di dare anche formalmente attuazione alle fondamentali norme della L. n. 39/1990 che, seppure in modo generico, disciplinano la annuale programmazione dei flussi di ingresso dei cittadini extracomunitari per motivi di lavoro.

Le 14 octobre 1991, prenant pour prétexte la lutte contre l’insécurité, le gouvernement ivoirien impose la carte de séjour à tous les étrangers installés sur
son territoire, meme citoyens de la Cédéao, violant !es accords de libre circula­tion établis entre les pays signataires. Pour la première fois, le principe du séjour
n’est plus reconnu comme un droit. Cette mesure fut longtemps différée. Envi­sagée dès 1985, précisément au moment où les pays membres de la Cédéao et,
parmi eux la Còte-d’Ivoire, s’étaient mis d’accord pour reconnattre à tout citoyen de la communauté, outre le droit de circuler d’un pays à l’autre sans visa, le droit
de résider, elle prit effet un an après que !es Africains non-Ivoiriens furent conviés
aux premières élections présidentielles multipartites.

Questa raccolta di fonti per la storia dell’emigrazione e i gruppi etnici negli Stati Uniti è l’ideale complemento dell’inventario relativo al Canada pubblicato l’anno scorso.’ Tuttavia questa volta non è stato possibile seguire i criteri ai quali ci eravamo attenuti per i documenti canadesi. Il materiale sugli Stati Uniti si è infatti rivelato superiore a ogni aspettativa, dal punto di vista qualitativo e da quello quantitativo. Non è stato quindi possibile inventariare, sia pure in modo sommario, tutta la documentazione relativa ai pontificati di Leone XIII, Pio X e Benedetto XV (1878-1922), ma abbiamo dovuto scegliere un periodo più ristret­to, partendo soltanto dalla creazione della Delegazione Apostolica a Washington nel 1893.

I dati sulla presenza di bambini stranieri nella scuola trentina dell’obbligo, analizzati nelle pagine che seguono, sono stati per la maggior parte stralciati da una rilevazione condotta dal Gruppo di Lavoro per le Problematiche degli Alunni Stranieri e Nomadi della Sovrintendenza Scolastica di Trento.2 Tale rilevazione si è svolta nell’aprile del 1993 ed è stata poi aggiornata al 30 settembre dello stesso anno. La raccolta dei dati, relativa sia agli alunni stranieri che a quelli nomadi, è stata fatta tramite un questionario alle scuole, articolato in quattro schede:
– la prima scheda finalizzata a raccogliere una serie di dati di carattere generale sulla presenza di alunni stranieri e nomadi e sulle risorse utilizzate;
– la seconda scheda per i dati specifici di ogni singolo alunno straniero;
– la terza scheda per i dati specifici di ogni singolo alunno nomade;
– la quarta scheda per i dati relativi alle iniziative di educazione interculturale.

International labour migrati on presents a basic asymmetry: labour-receiving countries have a much better contro! aver the number and composition of entrants than sending countries aver exits. Immigration countries’ policies, from the point of view of international law, can range from a tota! closing of their borders to free entry of foreigners. In comparison, emigration countries’ policy options are more restricted. Closed borders would imply an unacceptably restrictive contro! of the freedom of movement of a state’s citizens; the other extreme would be to forcibly dispiace people. The current international state system offers the right to states to give foreigners a different treatment than that granted to their own citizens. A much firmer contro) aver foieigners is generally allowed.

Historically, voluntary or involuntary movements of persons witb spe­cialized qualifications andlor skills bave been a very important means of transferring botb knowledge and tecbnical know-bow /rom one piace to anotber. From times immemorial, scbolars, astronomers, linguists, as well as crajtsmen witb engineering, military and printing skills bave been known to move witbin or between empires. The contemporary “brain drain” reflects earlier flows, but witbin drastically new and ever cbanging inter-state and inter-region economie and politica! settings. Ratber tban reciproca!, as in former ages, tbe movements bave now turned asymmetrical and overwbelm­ingly /rom less to more developed countries. Latest studies bave come to regard brain drain as a form of “reverse tecbnology transfer”, perbaps underlying tbe need to reduce antagonistic discussions.

Gli archivi della Santa Sede conservano una notevole quantità dì materiale sul Nord America.’ L’assiduo collegamento che il vertice romano ha sempre mantenuto con i vescovi e con il clero locali ha portato nell’Archivio Segreto Vaticano, nell’Archivio della Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordi­nari e nell’Archivio Storico della Congregazione di Propaganda Fide una note­vole messe di informazioni sulla Chiesa cattolica e sulle società nordamericane.
Tra questi documenti sono particolarmente importanti quelli sulla storia dell’immigrazione e sulla formazione dei gruppi etnici. L’aumento dei flussi migratori ha infatti sottoposto la Chiesa a un notevole sforzo: il clero cattolico ha assistito gli immigrati cattolici-per proteggerli dalla propaganda protestante, ma anche dalle minacce dell”‘indifferentismo” e del “socialismo”, come hanno segnalato tutti gli inviati vaticani – e al contempo ha saggiato la possibilità di convertire i nuovi arrivati di diversa fede. In compenso l’arrivo di nuovi e numerosi fedeli ha fatto lentamente uscire la Chiesa cattolica nordamericana dalla posizione di minorità numerica e politica, cui in precedenza pareva irrime­diabilmente condannata.

The vast body of literature which has been produced by geographers, sociologists, anthropologists, historians and others on migratory processes is a reflection of the long history and multi-faceted nature of migration. The research materiai ranges from census data, passport records and passenger lists to the persona! testaments, sometimes very moving, of those who have left their native land. From the point of view of international emigration, probably no other country in the world has seen such a vast corpus of published literature as ltaly. Certainly no other European country has sustained such a massive emigrati on of its population lasting over a century, terminating finally in the 1970s. The crude parameters of this movement are almost too vast to take in: according to officiai figures there have been 27 million emigrants since the Unificati on of Italy and at least 9.5 million returnees since 1905 when records of return migration began (Rosoli, 1978).

Towards further harmonisation? Migration policy in the European Union
International migration emerged as an important component in the process of economie expansion and liberalisation whieh took piace in western Europe after the second world war. Whether as migrant-receivers (north-western Eu­rope) or as migrant-senders (southern Europe), ali states became linked into an expanding migration “system” which soon extended beyond the region, incor­porating former colonies and other states to the south and to the east. A generai clamp-down on foreign labour recruitment followed the oil crisis in 1973, but immigration continued, dominated during the 1970s and early 1980s by family reunion, and after the mid-1980s by undocumented “economie” immigration and asylum inflows – the latter involving not only the longer-standing “receiving” states of north-western Europe, but also what had been the “sending” states of southern Europe.

L’analisi di una piccola collettività, come quella degli italiani in Tanzania, potrebbe apparire dettata da curiosità, più che da una reale esigenza di studio e di approfondimento. In realtà essa costituisce un esempio abbastanza rappre­sentativo delle piccole collettività italiane sparse un po’ in tutto il mondo, in particolare nell’Africa sub-sahariana ed in Asia. Vista l’esiguità della loro consi­stenza, tali collettività sono state fatte oggetto di sporadiche ricerche; non per questo si può negare che abbiano una loro storia ed un loro ruolo nell’afferma­zione del nostro paese all’estero.

International migration can be viewed as one more component in an increasingly complex set of exchanges (trade, technology, capitai, culture, sports, etc … ) between countries that possess differential power (economie, military, politica!, technological). This growing interdependence among nations is associated with: expansion of the international economie system; increasing disparities within and between countries; improved cornmunication and trans­portation systems that permit information, people and goods to flow rapidly even between distant territories; transnational institutions, like the United Nations and associated agencies; churches and religious organizations and a variety of smaller socia! service agencies and institutions that employ and transfer employees across nation states; and socia! networks created through intermarriage and socia! mobility patterns that link families and different groupings together in worldwide support systems.

Il rapporto tra immigrazione extracomunitaria e delinquenza (in genere, e più specificatamente giovanile) è stato variamente interpretato. Da un lato, le autorità, e talvolta anche gli studiosi di scienze sociali, richiamano l’attenzione sull’esistenza di una particolare propensione alla criminalità degli immigrati, sen­za soffermarsi in dettaglio sulle cause. Dall’altro lato, alcuni autori ritengono invece che si possa paragonare questa propensione solo con quella di cittadini italiani che siano confrontabili agli stessi immigrati per qualche aspetto sociolo­gicamente significativo, con riferimento sopra tutto alla condizione di marginalità rispetto ai mercati del lavoro ed immobiliare, ed anche alle istituzioni pubbliche preposte alla erogazione dei servizi sociali di sicurezza e assistenza. Solo un confronto tra entità omogenee è infatti ritenuto significativo, sicché il semplice accostamento tra indici di criminalità di italiani e stranieri può essere fuorviante. Inoltre, tale accostamento può risultare fallace in presenza di un atteggiamento discriminatorio delle autorità italiane verso la popolazione extracomunitaria.

La presenza di cittadini extracomunitari originari da paesi in via di sviluppo ha in provincia di Trento origini relativamente recenti rispetto al resto d’Italia. Essa inizia a manifestarsi solo nella seconda metà degli anni ’80, e in particolare dopo il 1988, quando in altre aree del paese il fenomeno riveste già una certa rilevanza. Oltre che da tutta una serie di fonti informative locali, di carattere istituzionale e non, ciò viene confermato anche dall’esiguità del numero di richieste da parte di immigrati volte a fruire dei benefici concessi dalla prima sanatoria (ex art. 16 della legge 943/86 e delle successive proroghe).

Molti sono gli insediamenti italiani all’estero, ma pochi quelli sostanziali e relativamente isolati. Anni fa un geografo australiano paradossalmente definì l’Australia Occidentale come un’isola, ed anche ora, dopo l’allacciamento al resto del continente con strada e ferrovia e regolari linee aeree, persiste il senso dell’isolamento, soprattutto se sopravviene uno sciopero degli addetti ai traspor­ti. Certo che gli insediamenti italiani della Patagonia sono anche più remoti, ma sono anche meno cospicui perché piccoli, sparsi ed isolati uno dall’altro.
L’Australia Occidentale, con un milione e tre quarti di abitanti, di cui un milione e un quarto nella capitale Perth e dintorni, è membro fondatore (Stato) della Confederazione Australiana e gode maggior autonomia di qualsiasi regione italiana o cantone svizzero o stato statunitense.

In linea con l’impostazione onnai consueta di dedicare l’ultimo numero dell’annata ad un contributo bibligrafico, la nostra rivista pubblica questa volta una rassegna sistematica e sostanzialmente esaustiva degli articoli di alcune riviste internazionali, italiane ed estere, specializzate nello studio del fenomeno migratorio: Affari Sociali Internazionali, Altreitalie, Asian and Pacific Migration Journal, Estudios Migratorios Latinoamericanos, International Migration, Interna­tional Migration Review, Migrations Société, Revue Européenne des Migrations Internationales, Studi Emigrazione. Appare subito evidente che non si tratta di una panoramica completa che esaurisce il vasto campo delle pubblicazioni periodiche interessate alla problematica delle migrazioni nazionali ed interna­zionali.

Non posso essere formale, aprendo questa giornata in ricordo di P. Sacchetti. Tutti sanno con quale passione, con quale rigore, con quale profondità nel tempo lui ha lavorato su questi problemi dell’emigrazione. È una giornata che, in fondo, ci vede a questo tavolo, con l’ambasciatore Falchi quasi dei “vecchi combattenti e reduci” di questo settore.
Mi trovo molto in famiglia nell’ambiente scalabriniano, estremamente atten­to e capace di coinvolgere altra gente nel proprio lavoro. Mi ha colpito di Giovanni Battista Sacchetti la costanza nel tempo, l’aver sposato una causa, l’aver seguito un argomento con fedeltà negli anni, in una cultura quale quella italiana, che invece si innamora delle mode, che passa da un argomento ad un altro nello spazio di sei mesi, che in fondo sbanda, perché va sempre alla ricerca della curiosità nuova.

A partire dagli anni Settanta, notava nel 1983 Wihtol de Wenden, la donna immigrata «ha cessato di essere considerata semplicemente come fattore di sostegno all’emigrazione maschile, solo destinata a favorire l’apporto demogra­fico, per entrare di diritto nella struttura del mercato del lavoro e acquisire una relativa autonomia di comportamenti. A poco a poco, i problemi della donna migrante sono stati considerati fuori dal quadro familiare e dal marito; il suo ruolo si estende al di fuori dello spazio domestico che gli uomini controllano sempre meno. E ancora, un numero crescente di donne emigrano sole o celibatarie, sia perché la loro funzione nell’economia locale non è più vista come essenziale, ed esse sono marginalizzate in alcune società, sia perché cercano di fuggire la società patriarcale. Di conseguenza, l’emigrazione femminile non si limita a migliorare il livello dei redditi della famiglia, i consumi e lo stile di vita individuali, ma contribuisce a veicolare quelle aspirazioni che vanno nel senso di un miglioramento della condizione delle donne nelle zone d’origine».

L’insediamento di immigrati provenienti dal Terzo Mondo nelle regioni più prospere del nostro paese, e segnatamente in Lombardia, sta avvenendo sotto il segno di uno scarto apparentemente insanabile tra le rappresentazioni di tale fenomeno nell’immaginario collettivo, e le sue dinamiche effettive. Il dato della visibilità dei fenomeni di emarginazione e di povertà, special­mente nelle metropoli, insieme all’amplificazione mass-mediatica di conflitti ed episodi incresciosi, contribuiscono ad alimentare presso l’opinione pubblica l’idea di un’immigrazione economicamente parassitaria e socialmente pericolo­sa. Nei fatti invece le innovazioni introdotte dalla legge Martelli, con la possibilità di regolarizzazione e di accesso paritario al mercato del lavoro, hanno aperto la strada ad un ruolo attivo e legittimato dei migranti nel sistema economico. In Lombardia, come mostrerò sulla base dei dati di alcune recenti ricerche1 questo processo di inserimento è ormai avviato, anche se resta silenzioso e miscono­sciuto dall’opinione pubblica.

Il presente contributo bibliografico, mirato alle sole pubblicazioni perio­diche di carattere scientifico, si prefigge di completare la rassegna delle indica­zioni bibliografiche sulle comunità italiane residenti all’estero dal 1975 in avanti, pubblicata sul numero 96 di «Studi Emigrazione», in cui erano state segnalate 1.223 pubblicazioni, comprendenti anche i libri sugli immigrati in Italia.
La ricerca bibliografica si è basata prevalentemente sulle riviste specializ­zate di emigrazione come «Studi Emigrazione», «International Migration Re­view», «InternationalMigration», «Affari Sociali Internazionali» e, più recente, «Altreitalie». Abbiamo scelto il 1975 come data iniziale poiché in quell’anno si era celebrata la Prima Conferenza Nazionale dell’Emigrazione che aveva ipotizza­to il passaggio da una politica assistenziale ad una politica partecipativa, permettendo ai cittadini italiani residenti all’estero di divenire ”protagonisti della loro storia”.

The idea of organizing an Advanced Seminar in North American History on “Religion and Ethnicity in the United States and Canada” carne to Giovanni Pizzorusso, Matteo Sanfilippo and myself, as we realized that, while working on the “religious” side of North American history, we were constantly faced by the category of “ethnicity”, at least from the last two decades of the eighteenth century. For her part, Maria Susanna Garroni, who had unti! then mainly worked on “ethnicity”, had come to the same conclusion from the apposite side. As we were ali based on the European side of the Atlantic Ocean, however, it seemed to us that often Canadian historians, and even more so American historians, tended to limit themselves to the experiences of their respective countries, and had few opportunities to compare their experiences.

Nella complessità dei problemi demografico-sociali indotti dalla recente inversione di direzione – da uscita in ingresso – dei flussi migratori nel nostro Paese, un aspetto che riveste un particolare interesse è quello relativo alla formazione di coppie miste, ossia quei matrimoni in cui almeno uno dei coniugi risulta non essere cittadino italiano.
Oltre il rilievo sotto il profilo demografico – l’immigrazione infatti diventa “costitutiva” della popolazione ospite soprattutto nel momento in cui contribui­sce alla formazione di nuovi nuclei familiari – il matrimonio misto può essere assunto quale l’indicatore sociale più significativo del grado di integrazione delle comunità immigrate o dell’esistenza di atteggiamenti discriminatori nei loro confronti.

L’emigrazione italiana in Nicaragua dagli ultimi due decenni dell’800 alla seconda guerra mondiale non fu un’emigrazione di massa: alcune centinaia di italiani sparsi su un territorio vasto come circa un terzo dell’Italia possono apparire una quantità irrisoria rispetto ai milioni di italiani emigrati nei vari continenti. L’emigrazione italiana in Nicaragua risulta tuttavia abbastanza consi­stente se comparata con la presenza degli altri gruppi etnici colà emigrati e nel contesto del flusso migratorio diretto negli altri paesi dell’America centrale. Va inoltre tenuto conto che la densità della popolazione nicaraguense rispetto al suo territorio risultava, come vedremo, poco elevata, rendendo così la presenza straniera più significativa.

La storia di una rivista è racchiusa tutta in quelle migliaia di pagine che ne rappresentano ad un tempo l’itinerario e gli obiettivi. Possiamo qui dire, in maniera semplice, che l’itinerario intellettuale di« Studi Emigrazio­ne» è stato quello di analizzare e documentare il fenomeno migratorio in tutte le sue forme ed espressioni, con un ‘operazione, configurabile con gli obiettivi, non solo “culturale”, quanto “sociale”. Questa non facile opera di sensibilizzazione non è stata, per altro, incrinata da quei subitanei mutamenti di costume che, sovente, hanno condotto altrove le ragioni di studio e di ricerca di molti operatori culturali; « Studi Emigrazione» ha perseguito la propria opera di approfondimento del fenomeno migratorio ed è rimasta da sempre un fondamentale punto d’incontro per tutti coloro che, da punti di vista scientifici e ideologici diversi, hanno affrontato ed affrontano lo studio dei movimenti migratori.

Nell’attuale ricco panorama delle ricerche sugli immigrati sono stati finora privilegiati, per obiettive esigenze conoscitive, gli aspetti quantitativi.’ Queste finalità hanno animato numerosi convegni e altrettante qualificate pubblicazio­ni, 2 che si sono concentrate, oltre che sugli aspetti metodologici della misurazio­ne di un fenomeno assai sfuggente e in buona misura clandestino, sulle caratte­ristiche strutturali della presenza straniera (per età, sesso, condizione professio­nale, provenienza geografica) e sul suo problematico inserimento sul mercato del lavoro italiano.

Si può dire tutto e l’opposto di tutto sulla recente Conferenza Nazionale dell’Immigrazione, tenutasi a Roma dal 4 al 6 giugno, indetta ed organizzata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Consiglio Generale dell’Economia e del Lavoro, cui hanno partecipato più di 2.000 delegati, con la rappresentanza di circa 250 associazioni di immigrati.
“Costruire oggi il mondo di domani”, il tema della Conferenza, si è rivelato più difficile del previsto. Analizzando le relazioni ed i documenti, le prese di posizione dei vari Ministri che si sono succeduti o anche gli interventi di alcuni leaders integralisti islamici, emerge una certa impreparazione nel cogliere in tutta la loro complessità le implicazioni su un paese di emigrazione e di transito chiamato improvvisamente a gestire la transizione da una società piuttosto omogenea ad una società pluriculturale. I rappresentanti dei vari dicasteri hanno fatto a gara a contraddirsi, col rischio quasi di ridurre le prese di posizione della relazione-base del Presidente della Conferenza, l’on. Claudio Martelli, tenuta alla presenza del Capo dello Stato, ad una impostazione personale, quando si trattava invece di delineare le linee portanti di una politica in gran parte ancora da inventare; eppure i principi costituzionali e le Leggi 943 e 36 offrivano un presupposto già ampio e solido che aveva suscitato larghi consensi.

La rivoluzione ginevrina del 1846, che precede di due anni i fermenti rivoluzionari europei del 1848, così come la crisi rivoluzionaria del 1781-1782 aveva preceduto il 1789, segna l’apertura di una nuova fase nella storia della città di Calvino. Lo smantellamento, iniziato nel 1849, delle fortificazioni della città è probabilmente il segno più appariscente e tangibile della grande Ginevra liberale e industriale alla quale aspira la classe politica portata al potere dalla rivoluzione radicale. L’espansione del tessuto urbano che segue la distruzione delle mura, marca l’inizio della crescita dei vecchi comuni di Plainpalais, Eaux-Vives e Petit-Saconnex e coincide con uno sviluppo demografico alimentato in gran parte dall’immigrazione regionale, in modo particolare quella savoiarda. Dai 61.871 abitanti del 1843 il cantone passa ai 64.146 abitanti del 1850 e, con un incremento veramente notevole, agli 82.876 abitanti del 1860.

Intento di questa rassegna bibliografica è di fornire agli studiosi un valido strumento informativo su quanto è stato pubblicato, in Italia e all’estero, sull’e­migrazione italiana in questi ultimi anni, ed esattamente dal 1975 ad oggi. È a partire dalla Prima Conferenza Nazionale dell’Emigrazione (la prima del genere nella storia politica dell’Italia), che si è sviluppato un maggior interesse sui problemi connessi all’esperienza migratoria italiana, nella sua dimensione storica e trasformazioni delle comunità sparse per il mondo e nelle sue istanze attuali e richieste di interventi.

Relativamente all’immigrazione europea degli anni ’50-primi anni ’70, ossia fino all’introduzione delle “politiche degli stop”, è stata da più parti sottoli­neata una dipendenza della stessa dai paesi importatori di manodopera. Le varia­zioni cicliche dell’economia nei paesi di arrivo si ripercuotevano pressoché immediatamente sul flusso migratorio; arrivi e partenze risultavano prettamente legati all’andamento della domanda dei paesi importatori; le crisi economiche mettevano in atto il meccanismo della “valvola di sicurezza”, che comportava l’esportazione della disoccupazione nei paesi di esodo.
Per quanto riguarda la “nuova immigrazione” europea, indubbiamente importanti risultano essere i fattori di spinta sia economici che politici. Nel corso degli anni ’70 si assiste infatti, da un lato, ad una più accentuata interna­zionalizzazione dell’economia, dal!’ altro, ad una serie di vertenze politiche, esi­stenti o configuratesi nello stesso periodo, con l’estendersi di regimi militari molto repressivi che hanno comportato un crescente flusso di esuli politici ver­so i paesi industrializzati.

La Bank of Italy fu fondata a San Francisco nell’ottobre 1904 dall’italo­americano Amadeo Peter Giannini. Dal 1930 si chiamò Bank of America, nel 1945 divenne la banca privata più grande del mondo. È naturale perciò che essa ed il suo fondatore siano stati oggetto di numerosi studi e biografie negli Stati Uniti: il successo di una istituzione nata come piccola banca “etnica” al servizio della comunità italiana di San Francisco, divenuta un impero finanziario con cen­tinaia di filiali in tutto il mondo, si prestava perfettamente alla costruzione di un mito che aveva nell’ American way of life il suo corrispettivo ideologico.

Dovendo elencare le cause generali che spiegano il massiccio movimento emigratorio dall’Italia verso la Francia tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, ci sembra superfluo usare parole diverse da quelle usate d_al viceconsole di Marsiglia, che nel 1901 così scrive nel suo rapporto:
“E risaputo che in Italia la popolazione è andata aumentando in una misura non proporzionata allo sviluppo economico del paese, onde uno squilibrio che ha prodotto un considerevole disagio economico, massimo nelle province meno floride del Regno. L’opposto è accaduto in Francia, dove alla immutata, se non pure diminuita, cifra della popolazione ha corrisposto una sempre crescente flo­ridezza delle industrie e dei commerci; ond’è che, mentre in Italia la media dei salari tendeva ad abbassarsi, in Francia andava invece crescendo [ … ] La vicinanza dei due paesi concorreva, date siffatte condizioni, a facilitare questa corrente immigratoria. Se a tutto ciò si aggiunge che i mezzi di trasporto e di comunicazione sono diventati più comodi e più rapidi, che il governo italiano ha accordato agli operai emigranti viaggi a prezzo ridotto, che uno scambio continuo di rapporti si è venuto via via formando fra gli emigrati e i loro parenti, amici e conoscenti rimasti in patria, non deve recar meraviglia che tanto incre­mento abbia preso la nostra immigrazione in Francia!

The Symposium on the presence of foreigners in Italy, organized by CISP in collaboration with the National Population Committee, was held in Rome, November 17-18 1987, as a continuation of the 1983 symposium on the same topic. The focus of the two initiatives was, firstly, the comparison among the data of various public institutions dealing with immigrants in order to improve the quality of statistica! information and, secondly, the coordination of nuni.erous surveys. In fact, more than 15 Italian Universities in recent years bave under­taken surveys among immigrants, using the same questionnaire tò allow a bet­ter comparability.
The first section, chaired by Nora Federici, was dedicated to the data collection systems on the foreign population in Italy. The Hon. Maria Eletta Martini, president of the National Population Committee, highlighted the necessity of coordinating the data collection systems of the different institu­tions and the legal instruments to protect the immigrants rights.

Il,terremoto piomba su Laviano e sull’Irpinia alle 19,30 del 23 novembre 1980. E una sera di domenica, che chiude una giornata calda e “primaverile”; cosa interpretata successivamente come segno premonitore della catastrofe, ma vissuta in precedenza come una piacevole occasione di passeggiate, di visite, di giochi dei ragazzini nelle strade dell’abitato.
Il sisma introduce, nel fluire del tempo di vita del paese, una cesura pro­fonda, divide i riferimenti, i ricordi, l’organizzazione stessa della vita delle persone, in un “prima” e un “dopo”, rigidamente separati da un vuoto, che concentra in pochi secondi la distruzione di secoli, e separa irrimediabilmente due istanti, normalmente contigui.

La storia incomincia nel 1879, con l’emigrazione di un centinaio di fami­glie contadine da alcuni paesi della provincia diRovigo. Era l’inizio di una ricerca di migliori condizioni di vita che, di 11 a qualche anno, sarebbe diventata una scelta comune ad altre migliaia di famiglie venete, se non fosse stato per la singolare destinazione: Cornesti, un piccolo villaggio a pochi chilometri dalla città di Jasi, antica capitale del Principato di Moldavia.

Multicultura e intercultura. Breve rassegna bibliografica.
Esistono difficoltà og,gettive nel voler classificare in maniera sistematica la bibliografia concernente l’argomento, non solo a motivo dell’abbondanza e dell’eterogeneità del materiale, ma soprattutto perché negli ultimi 30 anni si è verificata una continua evoluzione a livello di definizioni e tipologie relative ai processi inter­culturali. Potrebbe quindi risultare azzardato ed ingiustificato voler distinguere i diversi settori. Si è passati dai problemi tecnici relativi al bilinguismo che interessano preva­lentemente la pedagogia – su cui sono poi intervenuti massicciamente i socio ed i psicolinguisti al multilinguismo.

A partire dall’agosto 1914, all’indomani dello scoppio delle ostilità in Euro­pa, iniziano in Italia, anche se ancora in posizione di neutralità, le operazioni di pre-mobilitazione, che predispongono tra l’altro il rimpatrio dei soggetti a obblighi militari e la limitazione degli espatri. Risale infatti al Regio Decreto del 6 agosto 1914 il primo dei provvedimenti sospensivi della facoltà di emi­grare per i soggetti a leva di tutte le categorie. Tutta la materia passerà in seguito al Commissariato Generale dell’Emi­grazione (d’ora in poi: CGE), organo ufficialmente incaricato di occuparsi del­l’organizzazione dei rimpatri dall’estero, che erano gratuiti solo per il richiamato, non per la famiglia, cui spettava invece un sussidio governativo. Compito del CG E era inoltre rilasciare i nulla-osta alla richiesta dei passaporti per l’estero per chi intendeva emigrare negli anni di guerra.

En général, la recherche sociologique concernant la migration’ s’ applique à étudier la convergence ou le conflit entre différentes cultures, !es difficultés posées par l’effort de préservation d’une identité culturelle spécifique, ainsi que la possibilité d’une société multi-culturelle. Dans le contexte de ces pro­blématiques, le processus de confrontation entre !es conceptions et !es pers­pectives du temps, !es attitudes envers le temps et !es coutumes temporelles des migrants d’une part et celles de la société d’accueil d’autre part n’a jusqu’à présent occupé qu’une piace secondaire.
Nous constatons néanmoins que différents auteurs s’intéressent au temps comme une variable essentielle dans l’ étude des cultures. Kluckhohn et Strodt­beck (1961) considèrent “la catégorie privilégiée du temps” comme un des cinq problèmes fondamentaux 2 pour lesquels toute collectivité est forcée de trou­ver une solution.

Volume che raccoglie interventi molteplici di studi e ricerche sui temi della migrazione femminile, le comunità migranti negli Stati Uniti, le emigrazioni dalla Calabria e dalla Sicilia, naturalizzazione e Costituzione, modelli migratori dall’Europa verso Israele.

Il mito del nord. Rassegna bibliografica sulle migrazioni clandestine
Risulta difficile discutere di emigrazione clandestina non solo per la cronica man­canza di dati e di metodologie adeguate che permettano un accostamento obiettivo al fenomeno, ma anche perché questa realtà sociale, divenuta ormai presenza strut­turale nelle economie avanzate, coinvolge una categoria che più di ogni altra ras­somiglia, per condizioni di vita e di lavoro, agli schiavi. Esaminando, infatti, la letteratura recente ci imbattiamo in strane somiglianze con le ideologie ed i dibat­titi del secolo scorso attorno al dramma della schiavitù: dibattiti ed ideologie che dividevano comunità e studiosi, come accade oggi nei confronti degli immigrati senza regolare permesso di lavoro.

Il volume che presentiamo segue a distanza di quattro anni una precedente pubblicazione nata dagli atti di un convegno-del 1983 sull’immigrazione stranie­ra in Italia 1• In quell’occasione si tentò di fornire una rassegna critica delle fonti e dei metodi atti a quantificare la presenza straniera nel nostro Paese e si gettarono le basi per avviare una serie coordinata di indagini sul campo. Undici gruppi universitari si impegnarono ad acquisire le informazioni per una maggio­re comprensione delle determinanti e delle caratteristiche del fenomeno allo studio.
I cambiamenti avvenuti sulla consistenza dell’immigrazione straniera in Italia, la disponibilità dei dati analitici censuari e gli sviluppi della ricerca rendono oggi necessario un volume che sia allo stesso tempo un aggiornamento ed una continuazione del precedente.

Le lecteur trouvera dans ce numéro de Studi Emigrazione une série d’ar­ticle s consacrés à la problématique des jeunes issus de la migration en Europe occidentale.
Un premier élément commun lie ces différents articles: ils ont été établis dans le cadre des activités du Projet régional européen en faveur des migrants de la deuxième génération, lancé en 1980 par l’Organisation internationale du Travail (OIT) avec l’appui du Programme des Nations Unies pour le Développe­ment (PNUD). Mais au delà de ce trait commun de nature institutionnelle, y a-t-il un fil conducteur qui relie ces textes – au demeurant fort divers – entre eux?
Pour répondre à cette question, il convient de présenter, ne serait-ce que très brièvement, les objectifs et les principales conclusions du projet dont le Bureau international du Travail (BIT) a assuré de 1980 à 1985 la mise en oeuvre.

Questa rassegna bibliografica, volutamente breve, si propone di offrire allo studioso al­cune indicazioni dei principali saggi pubblicati dal 1983 al 1985 sul fenomeno migratorio. Ci siamo limitati a segnalare quei temi di studio che tradizionalmente hanno suscitato maggiore interesse presso i ricercatori, anche se, di recente, si possono intravedere angolature nuove sul come affrontare il problema e settori finora inesplorati che attirano l’attenzione degli studiosi.

Il colloquio internazionale di studi svoltosi dal 16 al 20 marzo 1984 pres­so l’Università della Calabria, organizzato dalla Società di Linguistica Italiana in collaborazione con la Deutsche Gesellschaft fur Sprachwissenschaft sul tema «Gli emigranti italiani in Germania: problemi linguistici e socio-culturali», col­loquio del quale qui si presentano gli atti, ha messo per la prima volta a confronto in modo «dedicato» linguisti italiani e tedeschi. Metodi, sensibilità, programmi di ricerca e di intervento diversi hanno avuto occasione di essere presentati e discussi con l’obiettivo di stabilire collegamenti e prospettive di lavoro fra le due comunità scientifiche su un tema che, via via che mutano le condizioni socioeconomiche nei due paesi, si modifica nelle sue caratteristiche. L’emigrazione italiana in Germania ha ora caratteri e tendenze evolutive ben diverse dalla situazione di dieci o venti anni fa: ora i rientri, il non essere più il gruppo maggioritario, la necessità di una riqualificazione professionale, l’esistenza di una terza generazione modificano i termini del problema linguistico e socio-cul­turale della nostra emigrazione.

Volume miscellaneo che tratta le tematiche dell’emigrazione di ritorno e sviluppo rurale in Basilicata, manodopera straniera nella repubblica Federale Tedesca, l’immigrazione italiana in Francia, le migrazioni sanitarie italiane in Francia e altre tematiche di approfondimento di esperienze locali.

Questo numero monografico sugli italiani in Canada, da tempo progettato con studiosi canadesi, conserva tutt’ora nell’articolazione dei saggi una quasi ‘ assoluta prevalenza di autori. canadesi. La ragione è facilmente comprensibile,trattandosi di emigrazione verso un Paese al quale gli studiosi italiani hanno dato scarsa attenzione, fino a pochi anni fa. Fino agli studi di Luigi Bruti Liberati sul versante politico – vedi la sua ultima fatica Il Canada, l’Italia e il fascismo (1919-1945), Roma, Bonacci 1984 -, la letteratura in lingua italiana sugli italiani in Canada era alquanto misera, meramente compilativa od elogia­stica, carente di una impostazione storica. Molto rimane ancora da fare, specie nel campo delle scienze sociali, in cui gli studiosi italiani sono in grado di dare il loro valido contributo per approfondire l’esperienza degli emigrati italiani in Canada e nelle comunità di origine.

In analisi attente sui movimenti migratori ci si imbatte di frequente in commenti sul ruolo vitale che la religione ha giocato nella evoluzione del fenomeno. Anche coloro che indagano su questa particolare realtà so­ciale partendo da presupposti ideologici antitetici hanno riconosciuto e pun­tualizzato il ruolo delle religioni organizzate nella assistenza ai migranti, mettendone in risalto la leadership. Esiste una vasta letteratura sul!’ argomento, la cui consistenza denota già di per sé l’importanza che gli studiosi attribuiscono all’argomento.

Gli studi sull’immigrazione in Argentina, ancorché non molto tempestivi; hanno suscitato un certo interesse da parte della cultura argentina, maggiore peraltro di quello riscosso in Italia. Sono stati soprattutto pubblicisti; politici e ricercatori ad osservare con curiosità, spesso con apprensione, la natura ed imponenza del fenomeno. I risultati scientifici; tuttavia, nell’insieme sono apparsi abbastanza modesti, a causa del prevalente orientamento degli studi storici verso il dato politico e lo scarso sviluppo delle ricerche sociali.

Il volume presenta una miscellanea di studi ed articoli diversamente collocati geograficamente e con approcci disciplinari molto differenti: si va dalla tavola rotonda in occasione del ventennale della rivista studi Emigrazione, al tema dei clandestini negli sati Uniti, le migrazioni in Argentina, la comunità spagnola di santa Fé e le società di mutuo soccorso, fino ai pescatori italiani in Australia e le migrazioni in un comune del Teramano in Italia.

Il volume presenta una miscellanea di articolo, con valenza attuale rispetto all’articolo dedicato all’Europa e alle migrazioni internazionali e valenza storica per gli articoli sui temi partoriali: come la parrocchia italiana di New York o sull’impatto economico della guerra nel Pacifico (1879-1993) e la colonia italiana in Perù, oppure il sindacato industriale nella federazione Socialista Italiana di New York. Nei dibattiti si evidenzia il rapporto tra riforma previdenziale e fenomeno migratorio.

In una delle « leggi sull’emigrazione» enunciate nel 1885, Raven­stein sosteneva che i rientri costituiscono parte integrante del processo migratorio: « Ogni grande flusso migratorio produce un flusso compen­satorio di direzione opposta».
Ma anche senza voler cercare giustificazioni teoriche dei movimenti migratori, l’elevato turn-over ed il carattere volutamente intenzionale di temporaneità delle permanenze all’estero, che hanno caratterizzato gli esodi dal secondo dopoguerra alla grande recessione degli anni ’70, hanno accentuato l’intermittenza e la quasi ingovernabilità dei flussi per cui i rientri risultano un dato strutturale.

Lo scopo di questa Giornata di Studio è quello di presentare l’inda­gine su « L’immigrazione straniera in Italia» che il Comitato Italiano per lo Studio dei Problemi della Popolazione (CISP) ha in corso, in collabora­zione con l’Istituto di Demografia dell’Università di Roma.
Tale indagine, promossa e avviata dal CTSP con il contributo del CNR, si sta svolgendo in collaborazione con l’Istituto di Demografia dell’Univer­sità di Roma e con il concorso di un contributo del Ministero della Pubblica Istruzione.
La ricerca si è proposta lo scopo di indagare sulla presenza di immi­grati stranieri in Italia, sia utilizzando tutte le fonti – ufficiali e non uffi­ciali – fino ad ora disponibili, sia procedendo ad un’indagine sul campo.

Per lungo tempo, la migrazione femminile, interna ed estera, è stata poco studiata. Messe al margine dei grandi movimenti migratori che rappresentavano un fenomeno soprattutto maschile, le donne che emi­gravano, quantitativamente meno numerose, erano per l’aggiunta con­siderate come elementi non decisivi dell’emigrazione. L’immagine della donna migrante, il cui ruolo al paese si identificava nel!’ accudire alla casa e nella supplenza del lavoro agricolo maschile, era normalmente quella della donna che seguiva il marito e che, tagliata fuori dal mondo esterno dalle barriere della lingua, della cultura e del!’ organizzazione economica e sociale dei Paesi industrializzati, si consacrava alla vita domestica e alla trasmissione dei valori tradizionali.

L’Australia sta riscuotendo, in questi anni, un interesse del tutto par­ticolare agli occhi dell’osservatore europeo, per complesse ragioni culturali e politiche. Si guarda a questo avamposto del mondo occidentale nell’ area del Pacifico – 15 milioni di abitanti sparsi su un territorio vastissimo, attorniati da nazioni con una fortissima pressione demografica – con cu­riosità mista a preoccupazione. Il continente australiano sembra affrontare le sfide del futuro con una certa consapevolezza.
Se esiste un settore in cui l’Australia si è segnalata in quest’ultimo quinquennio, dopo decenni di politica miope e fortemente condizionata da pregiudizi, è la politica verso i gruppi immigrati. Da una politica di popo­lamento di bianchi a una politica di multiculturalismo, da una mera accet­tazione delle minoranze – con il sottinteso di una loro accelerata inte­grazione – ad una loro valorizzazione, da un atteggiamento di paura di conflitti razziali ad una comprensione interetnica vista nella prospettiva di un processo di unificazione nazionale.

Con questa ricerca bibliografica intendiamo fare il punto sullo stato della ricerca sul tema della donna in emigrazione. Una classificazione della letteratura esistente ci è parsa utile ed interessante per il numero sempre maggiore di donne emigrate, per tutti i problemi psico-sociali che esse incontrano e per offrire uno strumento utile a coloro che si accingono ad intraprendere ricerche in questo campo. Nell’arco di anni che va dal 1965 al 1982 abbiamo segnalato circa 500 voci. Siamo coscienti dei limiti del nostro lavoro, anche perché ab­biamo analizzato prevalentemente articoli e saggi apparsi in Francia, Italia, Paesi di lingua inglese, tralasciando opere in lingua tedesca o edite nei Paesi scandinavi. Riteniamo tuttavia di aver offerto ai lettori un panorama sufficientemente vasto per cogliere in modo esauriente tutta la problematica.

Il numero presenta alcuni saggi dedicati all’attualità migratoria, con particolare attenzione alla problematica economica. Il saggio di Tapinos, in particolare, delinea alcuni aspetti salienti del fenomeno migratorio, centrati sul trend del processo migratorio più recente, sull’impatto econo­mico nei Paesi di accoglimento e sull’incidenza delle politiche migratorie. l loro scarso grado di efficacia a fronte dei problemi più urgenti – quali il controllo sulla grandezza dei nuovi flussi e sulla durata di per­manenza degli immigrati, la regolazione dell’emigrazione di ritorno e del fenomeno dell’emigrazione illegale – dimostra chiaramente il ridotto o nullo successo delle politiche migratorie.

Perché un numero storico dedicato agli aspetti del rapporto tra Chiesa ed emigrazione italiana?
Una risposta potrebbe trovarsi nelle troppe lacune della storiografica, cattolica o meno, sul tema della presenza della Chiesa tra gli emigranti italiani. In realtà, anche un intento puramente descrittivo e di compi­lazione delle iniziative avviate dai cattolici – che i saggi qui pubblicati mostrano più numerose del previsto – trova una sua ragione. Tanto più che re per tori e raccolte per altri gruppi di immigrati, specie europei orientali in USA, già sono stati compiuti. Ma un motivo più convincente si può trovare nel ritardo degli indirizzi storiografici nel campo del!’ emi­grazione in rapporto al prevalere delle ricerche sociologiche.

Il numero presenta saggi vari ed interessanti. La rubrica delle ri­cerche storiche porta, in particolare, nuove conoscenze sul periodo del fascismo e del postfascismo all’estero. Il contributo di P. Salvetti ana­lizza, con il ricorso ad una abbondante documentazione archivistica e giornalistica, la comunità italiana di S. Francisco negli anni ’30 e ’40 e il confronto tra fascisti e antifascisti. Particolare risalto viene dato al ruolo della stampa italo-americana che rappresentava e orientava le diverse fa­zioni politiche. Lo scoppio della seconda guerra mondiale, con l’interna­mento di alcuni leaders, ha accelerato il processo di cambiamento poli­tico e sociale della comunità.

Pour la cinquième année consécutive, le Centre d’Information et d’Etudes sur !es Migrations et le Centro Studi Emigrazione présentent à leurs lecteurs un panorama bibliographique des publications parues au cours des années 1980-1981, relatives aux phénomènes migratoires. Nous avons gardé dans ce numéro !es mémes dispositions et structure des numéros précédents. Ce cinquième numéro contient 1.519 références bibliographiques, don! 567 ouvrages, 458 articles et 568 thèses. Le chapitre des colloques a été omis pour nous permettre de développer davantage le chapitre des thèses.

Il terremoto del novembre 1980 che ha colpito le zone meridionali ita­liane, con l’epicentro nell’ area dell’Alta Irpinia, dell’Alto Sele e di alcuni comuni della Basilicata, ha rappresentato per il Sud un ennesimo colpo alla sua gente, alla sua economia, alla sua storia. La questione del Mezzogiorno, dichiarata centrale da un Paese che vi dedica istituzioni, risorse finanziarie e culturali, si è ulteriormente aggravata; si è compromesso perfino lo stesso rapporto uomo terra, natura e tradizione umana, organizzazione sociale e isti­tuzionale. L’inverno durissimo ha messo a difficile prova la resistenza dei rimasti, attaccati alla « loro » terra, povera fin che si vuole ma destinata a riprendersi e progredire con i loro sacrifici e il loro impegno.

Anche questo numero presenta contributi vari per contenuto e me­todologia. Il saggio di S. Ronzani si segnala per il suo intento di affron­tare, su un piano teorico, la complessità della problematica migratoria e le inevitabili contraddizioni insite a questi fenomeni di massa. In questo primo studio, che mira anche ad elaborare le strategie per una opportuna soluzione delle contraddizioni, ci si concentra sul piano degli individui migranti. L’intento è di approfondire un approccio interdisciplinare e com­prensivo delle complesse interrelazioni che si sviluppano nei « cicli » migratori.

Il numero della rivista presenta contributi assai vari per campo di­sciplinare, metodologia e informazioni raccolte sul fenomeno migratorio.
Il settore delle ricerche presenta una analisi dell’inserimento dell’ emi­grato italiano nelle società di accoglimento, quale emerge da una vasta raccolta di lettere di emigrati sardi. Vengono poi illustrati i primi risul­tati di una ricerca dell’OCSE in Belgio, Francia, R.F.T., Svezia e Svizzera, sui giovani migranti e il loro inserimento nel mercato del lavoro. Emer­gono le particolari difficoltà della « seconda generazione », per gli impe­dimenti di natura giuridica e socio-culturale, quali la ridotta conoscenza delle lingue e la scarsa formazione professionale, fattori che ostacolano un reale avanzamento nella società locale.

Pour la quatrième anneee consécutive le Centre d’Information et d’Etudes sur les Migrations Méditérranéennes et le Centro Studi Emi­grazione présentent à leurs lecteurs le panorama bibliographique des publi­cations de 1980 relatives aux phénomènes migratoires. Les aires géographiques qui ont été privilégiées sont en particulier l’Angleterre, !es Etats Unis, la France et l’Italie. La période couverte a été celle de 1979 et 1980. Un numéro d’ordre constant précède chaque référence bibliographique pour permettre de l’identifier rapidement sous d’autres mots-clés, dans l’index géographique et des auteurs.

Il presente numero ospita contributi di carattere prevalentemente storico che studiano diversi momenti della esperienza degli emigrati italiani.
Il primo saggio di Alberto Monticone, noto studioso della radio du­rante il periodo fascista, ripercorre le varie fasi della diffusione delle trasmissioni radiofoniche destinate agli emigrati dal fascismo alla demo­crazia, con particolare riferimento al regime. L’interesse della program­mazione radiofonica è pressoché inesistente nei confronti degli emigrati all’estero durante il primo decennio (1924-1934). Anche successivamente l’interlocutore principale della radio per l’estero non è l’italiano ma gli stranieri simpatizzanti, con particolare attenzione ai popoli balcanici ed arabi.

Il problema dello sviluppo in rapporto ai fenomeni migratori è un tema ormai ricorrente nella letteratura sull’emigrazione, fin dall’avvio delle prime ricerche promosse dall’OCSE agli inizi degli anni ’60. La doman­da d’obbligo era in che misura l’emigrazione si collegava allo sviluppo socio-economico di determinate zone. Le ricerche empiriche si sono in­tensificate negli anni seguenti per verificare i singoli aspetti delle espe­rienze nazionali. Un mutamento di ottica si è avvertito, tuttavia, nella letteratura più recente dove con sempre maggiore insistenza l’emigrazione viene correlata al sottosviluppo.

Il problema della scolarizzazione dei figli degli emigrati ha assunto in questi anni recenti una rilevanza del tutto particolare nel dibattito italiano, anche se non in proporzione diretta alle iniziative effettivamente avviate. Convegni, dibattiti, seminari, libri scientifici e divulgativi l’hanno affrontato, non riuscendo sempre a chiarire debitamente i termini del pro­blema o l’ampiezza di certi fenomeni, data la complessità delle situazioni prese in esame e la carenza di dati conoscitivi.

Nous présentons à nos lecteurs un panorama bibliographique des publications de 1979 relatives aux phénomènes migratoires. Le groupe du CIEMM, en collabo­ration avec le CSER, a réalisé cette tac be com me les années précedentes, en f aisant aussi des visites auprès des institutions spécialisées dans les différents pays.

Il presente fascicolo di « Studi Emigrazione » si distin­gue, mi pare, per l’originalità e la solidità del contenuto dottrinale, nella fedeltà allo spirito ecclesiale da cui ha preso avvio, a suo tempo, il Centro Studi Emigrazione, e che è lo stesso spirito che animò, con intrepida e intransi­gente fermezza, il Servo di Dio Giovanni Battista Scalabrini.
I redattori del periodico intendono ricordare il primo decennio dell’Istruzione De Pastorali Migratorum Cura, ema­nata dalla Sacra Congregazione per i Vescovi per incarico di Papa Paolo VI, di cara e venerata memoria, che con la sua autorità apostolica mediante il Motu Proprio Pastorailis migratorum cura del 15 agosto 1969, tracciava le linee portanti e i criteri per l’aggiornamento della Costituzione Apostolica Exsul Familia.

Lo sviluppo economico, politico e sociale dell’epoca moderna porta ad una sempre maggiore mobilità delle per­sone, che si spostano per i motivi più diversi: lavoro, studio, attività politiche.
Tale fenomeno non investe una sola comunità, ma tende ad interessare un sempre maggior numero di Paesi, a motivo della interdipendenza dei vari movimenti migra­tori, i quali vanno considerati con attenzione, non solo per la loro entità, ma perché i territori che vi sono interessa­ti sono sempre più numerosi ed estesi.

Il numero 53 offre con il saggio su Turchia e Marocco « Le rimesse degli emigranti e l’economia delle zone di par­tenza » della Con/ aloni eri un tema di grande attualità, so­prattutto in tempo di recessione, e che può permettere utili confronti anche in campo italiano dove le rimesse hanno sempre giocato un ruolo di rilievo nella bilancia dei pa­gamenti.

Les déplacements de personnes en général et les mouvements de main­d’ oeuvre étrangère en particulier, rendent toujours d’actualité les problèmes des immigrés et des minorités concernant surtout l’emploi, la scolarisation des enfants, la deuxième génération, les relations interethniques et inter­culturelles. Les prises de positions des organismes internationaux et natio­naux, les études, les recherches sur ces sujets sont de plus en plus nombreuses et variées, soit dans le temps, soit dans l’espace géographique; en les présen­tant à toute personne intéressée par la situation des migrants et par les pro­hlèmes migratoires, cette revue bibliographique veut faire le point de la question.

Numero di miscellanea che inizia da una ricerca sulla gioventù italo-inglese, affronta il tema dei lavoratori indipendenti a Stoccarda e il tema dei lavoratori emigranti verso paesi con surplus di mano d’opera. Si tratta inoltre il tema del comportamento politico dei migranti, delle tendenze recenti nella migrazioni interne viste dal punto di vista demografico e si parla del fondo archivistico del Commissariato generale dell’emigrazione.

Il volume presenta una serie di articoli dedicati a temi diversi, quali: migrazione di ritorno nel Mezzogirono; indagine sui problemi delle migrazioni di lungo termine in Francia, il difficile inserimento dei lavoratori algerini in Germania e la sintesi del Rapporto SOPEMI 1977.

Questo numero della Rivista è consacrato agli atti del Colloquio in­ternazionale sulla « partecipazione degli stranieri alle elezioni municipali o amministrative nei Paesi della CEE», organizzato dal Centro di Diritto Internazionale « Charles De Visscher » dell’Università Cattolica di Lo­vanio. Con questa iniziativa la Rivista « STUDI EMIGRAZIONE / ETU­DES MIGRATIONS » intende continuare l’interesse, che le è stato pro­prio fin dalla sua fondazione, sul problema della partecipazione degli im­migrati alla vita politica della società ( ci si riferisca, in quanto citta­dini, alla società nazionale d’origine oppure, in quanto residenti e lavo­ratori, alla società di immigrazione). In questo quadro sovente nel pas­sato la Rivista ha dato spazio ali’ analisi tecnica e sociologica degli osta­coli costituzionali o legislativi inerenti alt’ esercizio del diritto di voto degli italiani all’estero o dei condizionamenti sociali per una reale partecipazione degli immigrati interni del Mezzogiorno alle forme di vita associative nelle agglomerazioni industriali del Nord Italia (1).

Anche quest’anno., come di consueto, l’ultimo numero dell’annata di « STUDI EMIGRAZIONE/ETUDES MIGRATIONS » è a carattere bibliografico, redatto con il medesimo intento di offrire agli studiosi ed operatori in emigrazione un panorama attento della letteratura, nella sua accezione più vasta, relativa all’emigrazione. Risultano tuttavia evidenti quest’anno alcune novità di cui intendiamo rendere ragione.
Già nel numero bibliografico dell’anno passato, presentando alcune indicazioni per ricerche sull’emigrazione elaborate dal Centre de Dé­veloppement dell’OCSE, veniva lanciato un invito ad una collabora­zione piu ampia sul piano dell’informazione bibliografica. Siamo lieti che l’invito sia stato accolto e abbia trovato nel nostro CIEMM (Centre d’Information et d’Etudes sur le Migrations Méditerranéennes) di Pa­rigi il Centro coordinatore dell’iniziativa mirante a predisporre, per il 1977, un numero bibliografico realizzato in collaborazione tra i diversi Centri collegati (CSER di Roma, CIEMM di Parigi e CSERPE di Ba­silea).

Il volume mira a fornire un confronto delle tematiche più comunemente affron­tate e delle politiche in esse coinvolte in tema di emigra­zione di ritorno; l’intento non è di offrire una disamina esauriente degli aspetti problematici quanto. piuttosto rap­presentare un’occasione per un dibattito più approfondito la cui esigenza è universalmente avvertita e in vista di validi interventi operativi urgentemente richiesti. Inoltre affronta il tema della comunità italiana presente a Stoccarda; del comportamento procreativo dei migranti nel Nord del Reno e della riuscita scolastica dei bambini migranti in belgio.

Il tema dell’emigrazione continua a richiamare l’at· tenzione degli studiosi e dei non specialisti sul tema del rapporto emigrazione-criminalità. La domanda ricorrente è se esiste un rapporto causale tra i due fenomeni o, me­glio, quando e in quale misura il rapporto di successione cronologica si può tradurre in relazione causale.

Volume che presenta articoli di ricerca rispetto ai temi del bilancio familiare e rimesse degli emigrati; un intervento relativo al rapporto SOPEMI – 1976 comprendnete un bilancio dell’anno 1975 dell’OCSE, i paesi di emigrazione e i movimenti migratori italiani verso Germania e Svizzera, i flussi di lavoratori migranti nell’area del MEC; i patronati sindacali degli emigranti, gli aspetti e problemi dell’emigrazione italiana in Venezuela e Messico

Anche quest’anno, come di consueto, l’ultimo numero della Ri­vista è bibliografico ed intende offrire a tutti gli studiosi ed operatori in emigrazione un panorama, il più ampio possibile, della letteratura prodotta sull’argomento, con particolare riguardo a quella scientifica.

Negli anni recenti l’organismo più rappresentativo a livello mondiale nel mondo del lavoro, il BIT, si è ripe­tutamente occupato del fenomeno migratorio e dei pro­blemi connessi all’esodo massiccio ed indiscriminato della manodopera attiva dai Paesi in via di sviluppo. Questa organizzazione internazionale non è intervenuta solo a li­vello di raccomandazioni e convenzioni, ma ha toccato anche gli aspetti scientifici della ricerca con l’intento di fornire strumenti conoscitivi e di intervento più adeguati alla complessità del fenomeno.

Il volume presenta una miscellanea di articoli diretti ad studiare il rapporto di equilibrio fra regioni Nord-occidentali e Sud rispetto al sistema economico italiano; le migrazioni meridionali alla luce delle statistiche ufficiali nel periodo 1950-1970, la situazione sociale dei lavoratori migranti e delle loro famiglie nell’Europa Occidentale, il linguaggio come indicatore dell’etnia italiana; gli stranieri in Belgio.

Il volume presenta una miscellanea di articoli volti all’analisi dell’impatto del Literacy Test Act, che sancisce tra l’altro il divieto di immigrazione per gli analfabeti; le condizioni di vita del proletariato italiano a Filadelfia, le colonie italiane in Perù, il rapporto fra gli emigranti dal Mezzogiorno d’Italia e comunità di origine.

Come di consueto, anche quest’anno l’ultimo numero della rivista

Lo studio presenta la terza parte dell’inchiesta tra gli emigrati ita­liani eseguita dal CSER con il contributo del C.N.R. ( « La crisi attuale del sistema politico-amministrativo ed assistenziale nel campo dell’emi­grazione in rapporto alla personalità socio-culturale dell’emigrato» contratto n. 72.00311.10).
Le prime due parti sono apparse nei numeri 31 e 35-36 di « Studi Emigrazione ».

SOMMARIO
Storia
– Scalabrini, Bonomelli e l’emigrazione italiana, C. Bellò pag. 3
– Economia precaria ed emigrazione (1860-1910), Francesco Cerase pag. 47
Note e Discussioni
– Nouvelles politiques des Pays européens d’immigration, Bernard Kayser pag. 90
– La politica culturale degli Stati Uniti, Carla Bianco pag. 96
– La scuola nella lingua « in cui si pen­sa », Ottaviano Sartori pag. 109
– Saldo migratorio: una contabilità da abbandonare, Mario Marcelletti pag. 119
Documentazioni
– Migrant workers’ charter, I.c.f.t.u. pag. 122
– Statement on control over immigration for employment purposes, I.c.f.t.u pag. 128
– Les 25 mesures concernant l’immigra­tion, Ministère du Travail Franç pag. 130
Recensioni pag. 137

Il volume doppio approfondisce tematiche trattate nei volumi precedenti come il modello bavarese della scuola a due uscite; i temi trattati alla Conferenza Nazionale dell’emigrazione e presenta l’indice dell’annata.

Il volume tratta le tematiche dell’emigrazione sarda; del modello bavarese di inserimento scolastico; demografia e migrazioni internazionali; situazione giuridica e sociale dei migranti per lavoro in Europa

Il presente numero primo dell’annata 1974 – contiene alcune innovazioni formali, che si propongono di visualizzare l’in­ternazionalizzazione della rivista. Il nuovo comitato scientifico, che raccoglie nomi di studiosi noti nel campo della nostra disciplina e che rimane aperto ad ulteriori cooptazioni, è garante di una apertura soprattutto all’am­bito europeo e alla vasta problematica migratoria che in questi ul­timi anni vi si è addensata, complice una politica del lavoro e del territorio che costringe ancora l’uomo a rincorrere il capitale.

Come è ormai tradizione, l’ultimo numero dell’annata è bibliografico. Esso riporta un « panorama delle riviste » del­l’annata, allo scopo di fornire al lettore un quadro sufficien­temente indicativo di quanto è stato scritto negli ultimi mesi sul problema dell’emigrazione, accostato dai vari punti di vista (storico, giuridico, socio-economico, culturale, pastorale ecc.).

Facendo seguito a quanto pubblicalo nel numero prece­dente (n. 30, giugno 1973), vengono qui riportate le risposte di esperti nel campo dell’emigrazione ,ai quesiti, a suo tempo pro­ posti dalla Redazione, riguardanti le caratteristiche attuali e le prospettive dell’emigrazione italiana. Tra le caratteristiche vengono ricordate la meridionalizza­zione, l’europeizzazione, la temporaneità delle correnti migra­torie italiane, la concorrenza che esse subiscono da parte di altri Paesi mediterranei, fornitori di manodopera; la maggiore sin­dacalizzazione e politicizzazione degli emigranti.

Il volume è dedicato alla rilevazione ed analisi delle risposte di un questionario sottoposto ad esperti dell’emigrazione, in vista della Conferenza Nazionale dell’Emigrazione.

Collegandoci a quanto è stato pubblicato nel n. 27, proseguiamo in questo numero nell’esame dei rapporti tra sindacati ed emigrazione. Dopo aver preso in considerazione i sindacati italiani, è ora la volta di quelli jugoslavi, che rientrano in un sistema del tutto particolare, in quanto in Jugoslavia politica sindacale e politica governativa si identificano. Ciò non toglie che vi siano tra l’emigrazione italiana e quella jugoslava notevoli analogie, dal punto di vista degli obiettivi perseguiti dai rispettivi sindacati. Italia e Jugoslavia costituiscono dunque i due prototipi scelti come Paesi di emigrazione.

Il numero che presentiamo è bibliografico. Esso riporta un « panorama delle riviste» dell’annata, allo scopo di fornire al lettore un quadro sufficientemente indicativo di quanto è stato scritto negli ultimi mesi sul problema dell’emigrazione, accostato dai vari punti di vista (storico, giuridico, socio-economico, culturale, pastorale ecc.).

Il fenomeno migratorio in quest’ultimo quarto di secolo ha manifestato, nella ,sua dinamica e nella sua evoluzione, sensibili mutamenti, a volte particolarmente significativi, che invitano ,alla riflessione sia per quanto concerne la revisione critica di taluni giudizi e prese di posizione, sia per quanto riguarda ragionate proposte per la formulazione di una politica organica che tenga conto di una oculata prospezione dei dati, ,da farsi con tutta la prudenza di rigore in un campo così delicato e mutevole.

Il fenomeno migratorio in quest’ultimo quarto di secolo ha manifestato, nella ,sua dinamica e nella sua evoluzione, sensibili mutamenti, a volte particolarmente significativi, che invitano ,alla riflessione sia per quanto concerne la revisione critica di taluni giudizi e prese di posizione, sia per quanto riguarda ragionate proposte per la formulazione di una politica organica che tenga conto di una oculata prospezione dei dati, ,da farsi con tutta la prudenza di rigore in un campo così delicato e mutevole.

Le difficoltà cui sta andando incontro in questi giorni la nostra emigrazione nei Paesi del MEC (particolarmente in Germania) rendono attuale il discorso del rapporto tra programmazione nazionale e,d emigrazione. Uno degli obiettivi fondamenta.li della programmazione è il pieno impiego della manodopera e l’eliminazione degli squilibri strutturali e territoriali connessi. Il conseguimento di un tale obiettivo richiede, tra l’altro, un’esatta e concreta diagnosi della situazione attuale ed un’accettabile previsione del futuro, a medio e breve termine, a livello regionale, nazionale ed europeo.

Il numero presenta una miscellanea di temi relative alle politiche Regionali e le Migrazioni; la vocazione politica dei migranti; considerazioni storiche sull’emigrazione italiana in Francia e ancora temi e legati all’inserimento scolastico dei figli di migranti in Svizzera.

E’ sorprendente come tutti i progetti di programmazione economica elaborati nel dopoguerra in Italia, nei quali Si è tentato di delineare le grandi linee previsionali, a breve o a medio termine, dello sviluppo economico italiano, non abbiano né un capitolo, né un paragrafo riservati ai rapporti tra programmazione economica e mobilità del lavoro.

Con questo numero il Centro Studi Emigra­zione porta la rivista da quadrimestrale a trime­strale e, mantenendo un impegno annunciato ai primi del 1970, inizia la serie dei supplementi an­nuali bibliografici sui problemi della mobilità. Il lettore troverà in queste pagine:  una introduzione illustrativa dell’organizzazione del Centro di Documentazione CSER, nonché dell’articolazione del volume in corso di stam­pa, che costituirà il Catalogo delle pubblica­zioni, non periodiche, che risultavano, a fine set­tembre, ordinate e consultabili presso il Centro di Documentazione; il sommario dei soggetti inclusi nel volume preannunciato, cioè il quadro di classificazione del­le pubblicazioni di detto Centro; uno « specimen » del volume stesso, dedi­cato alle pubblicazioni riguardanti il pregiudizio razziale, l’etnocentrismo, le minoranze etniche e la discriminazione, i Negri; La scelta di tale <C classe » è stata fatta in base alla considerazione che essa, benché sia una delle minori come entità, tratta temi di viva attualità e che la presentazione della relativa bibliografia può così essere di immediata utilità agli studiosi. Non è raro infatti ricevere, in sede di consulenza, richie­ste di documentazione sui problemi dei conflitti razziali, delle loro ragioni storiche, della loro collo­cazione sociale.

Il numero che presentiamo è dedicato ai problemi de « La Svizzera dopo Schwarzen­bach ». Vengono presi in esame i precedenti sto­rici, nel quadro dei rapporti tra la Svizzera e gli stranieri dimoranti nel suo territorio, allo scopo di meglio comprendere ed illustrare lo insorgere dei timori, così diffusi, di una « pe­netrazione straniera».

Il volume è incentrato sulla problematica degli obblighi alimentari da parte degli emigrati all’estero nei riguardi dei figli minori.

Il volume approfondisce il tema delle migrazioni interne italiane e della pastorale migratoria alla luce del Concilio. Si tratta, inoltre, della delinquenza italiana a Ginevra e del Convegno di studi sull’emigrazione e sull’opera degli italiani negli Stati Uniti

Il volume affronta tematiche relative a lavoro emigrazione, come: l’evoluzione  della politica sindacale dell’immigrazione operaia negli Stati Uniti e le problematiche irrisolte del libro bianco canadese sull’immigrazione.

Il volume affronta il diritto di voto degli italiani all’Estero, il tema della stratificazione sociale e rapporti di potere fra i gruppi etnici negli Stati Uniti. Nella note affronta, nuovamente, la problematica delle registrazioni anagrafiche degli emigrati e si pone il problema del brain drain o esodo dei cervelli diviene già un tema fondamentale per gli studiosi di emigrazione.

Il volume tratta del tema dell’emigrazione ed industrializzazione del Mezzogiorno d’Italia, della difficile relazione fra lavoratore emigrato e famiglia, dei servizi sociali dedicati agli emigrati. Nella sezione Documenti si approfondisce, fra le altre tematiche, il rapporto di collaborazione di Scalabrini e Bonomelli nell’assistenza agli emigrati.

Il volume comprende i numeri 11 e 12 della rivista Studi Emigrazione e approfondisce il tema della società italiana di fronte alle prime migrazioni di massa. Si analizza il contributo di Mons. Scalabrini e dei suoi primi collaboratori alla tutela degli emigranti, con studi su: l’emigrazione italiana in America, il disegno di legge sull’emigrazione italiana, dell’assistenza all’emigrazione nazionale e degli Istituti che si provvedono e relazioni sull’operato dei Missionari e delle istituzioni per l’emigrazione degli italiani all’estero.

Il volume tratta della situazione di ritorno dei migranti, dell’emigrazione e ristrutturazione economico-sociale, del reddito delle zone depresse.

Nel nuovo volume si tratta dell’identificazione etnica, delle migrazioni interne, la trattazione del problema migratorio nella sociologia internazionale, e della pastorale dell’emigrazione di Mons. Bonomelli.

Il volume tratta del l’atteggiamento del Canada francese nei confronti dell’immigrazione, affronta il tema del comportamento elettorale degli immigrati nel <<triangolo industriale>> e pone la questione se “l’emigrazione sia un bene o un male”.

Il volume approfondisce le tematiche del ruolo della parrocchia nell’assistenza spirituale dei nuovi immigrati e del rilievo dell’associazionismo volontario nel processo di immigrazione. Si tratta, inoltre, di inserimento dell’emigrato nel momento economico e socioculturale dei programmi di sviluppo regionale e nuovamente si toccherà il tema dell’emigrazione e dei problemi scolastici.

Nel volume 6 saranno trattati i temi della scuole e migrazioni, assistenza scolastica ai figli dei lavoratori emigranti in Europa, la scuola e le migrazioni interne, i comitati per la tutela delle migrazioni e l’ordinamento giuridico dell’assistenza spirituale agli emigrati.

Il volume indaga le prospettive emigratorie ed il rapporto con il campo religioso, le prospettive delle parrocchie nazionali negli Stati Uniti, il rapporto fra i Missionari degli emigranti in Francia ed il fascismo negli anni 1924 – 1934.

Il volume tratterà di società urbana, strutture familiari e immigrazione, oltre che delle caratteristiche demografiche ed assimilazione degli italiani negli Stati Uniti e varie tematiche connesse alle dimensioni sociali e pastorali dell’emigrazione.

Il volume terzo presenta tematiche come: le dinamiche migratorie italiane del dopoguerra; alcune previsioni sui flussi migratorio degli italiani; analisi ed orientamenti per una politiche migratoria italiana.

Nel presente volume si vogliono indagare differenti aspetti delle migrazioni, inclusi glia spetti antropologici, sociali e psicologi, come quelli che riguardano il comportamento religioso, l’integrazione sociale. Si tratterà inoltre, nel volume, dell’approccio pastorale alle Diaspore e delle riflessioni sociologiche e pastorali legate alle parrocchie nazionali negli Stati Uniti.

La nuova Rivista Studi Emigrazione intende promuovere ricerche animate da spirito di collaborazione tra pastori e ricercatori sociali in modo interdisciplinare.