Dal medioevo all’età moderna
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Le emigrazioni preunitarie
La penisola italiana è stata al centro di flussi migratori fin dall’epoca antica, sia interni che esterni. Prima del Mille, la mobilità di popolazioni, come i longobardi, è stata spesso interpretata come invasione o, con dibattiti storiografici, come o migrazione “invito” e sul loro impatto culturale. Nel Basso Medioevo, le migrazioni diventano più individuali, o per infiltrazione, con flussi definiti da fattori demografici, economici e sociali che continuano fino all’età moderna. Il modello della mobilità interna vede spostamenti da aree montane e rurali verso città e altre destinazioni, motivati dalla ricerca di lavoro. Le città rappresentano luoghi di attrazione per immigrati, ma anche le zone rurali e agricole richiedono manodopera stagionale. Le migrazioni si stabilizzano e si ripetono nel tempo, con un impatto economico significativo sulle regioni di partenza, grazie alle rimesse. Le città, come Roma e Milano, svolgono un ruolo cruciale nell’accoglienza e nell’integrazione dei migranti, ma il modello migratorio evolve, considerando anche le politiche di inclusione delle autorità locali. La mobilità non si limita all’interno della penisola: anche flussi esterni, come quelli provenienti dai Balcani e dall’Europa settentrionale, influenzano la demografia e l’economia italiana. Nel contesto globale, le migrazioni italiane all’estero, in particolare mercantili, si ampliano dal XVI secolo, con una crescente presenza in Europa orientale e nel resto del mondo. L’emigrazione italiana assume così significati diversi nel corso del tempo, da fenomeno di esilio politico a strumento di affermazione culturale e professionale, influenzando anche la Grande Emigrazione del XIX secolo.