Le emigrazioni dopo la seconda guerra mondiale
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Il secondo dopoguerra (1946-1976) segna una ripresa dell’emigrazione italiana, che coinvolge centinaia di migliaia di persone. I motivi principali sono la mancanza di lavoro, la distruzione causata dalla guerra, il timore di persecuzioni politiche o sociali, e le difficoltà economiche. Molti italiani si dirigono verso Paesi bisognosi di manodopera, come quelli europei e le nazioni extraeuropee, tra cui Argentina, Brasile, Australia, e Canada. La ricostruzione post-bellica, assistita dal Piano Marshall, non basta a risolvere i problemi economici, spingendo il governo italiano a favorire ulteriormente l’emigrazione. Negli anni successivi, si stabiliscono accordi bilaterali con vari Paesi per regolare l’espatrio, ma non tutti gli emigranti seguono questi canali legali, ricorrendo spesso a soluzioni clandestine. Negli anni Cinquanta e Sessanta, l’emigrazione verso l’Europa, soprattutto Francia e Belgio, è intensa, ma diminuisce dopo il 1963, con una crescita delle partenze verso la Svizzera e la Germania. Anche se molti italiani emigrano, le condizioni lavorative sono difficili, con lavori duri e mal pagati, spesso in settori come le miniere e l’edilizia. Tragedie come quella di Marcinelle (1956) e Mattmark (1965) mettono in evidenza le difficili condizioni di vita degli emigranti. Negli anni Settanta, la crisi energetica riduce l’emigrazione, che scende sotto le 100.000 unità annue, mentre i rimpatri superano gli espatri. Il flusso migratorio, originato principalmente dal Sud Italia, vede un rafforzamento della “meridionalizzazione” dell’emigrazione, con regioni come Campania, Sicilia e Calabria che registrano i numeri più alti di partenze. L’emigrazione diventa una questione centrale per l’Europa, con nuove leggi internazionali che tutelano i diritti dei migranti, mentre il dibattito sull’assistenza e la gestione dell’immigrazione continua a crescere. In questo periodo, l’emigrazione italiana contribuisce in modo significativo alla costruzione della Comunità europea e alla libertà di movimento per i lavoratori.