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Calabria e Sicilia Sguardi italoaustraliani

Il rapporto con il paese di origine costituisce un aspetto fondamentale dell’esperienza diasporica non solo per la prima generazione di emigranti ma anche, seppure in modi diversi, per le generazioni successive. Qualche anno fa il marchigiano Augusto Favi di Wollongong nel presentare alla re­gione di origine una sua scultura in acciaio inossidabile vi aggiunse la scrit­ta: «Dall’Australia alle Marche I con amore I lontan dagli occhi I ma mai lontan dal cuore>>. Tale sentimento di lontana vicinanza è vissuto an­che dagli emigranti di origine calabrese e siciliana i cui rapporti con la re­gione di origine si manifestano in modi assai differenziati, anche se inter­connessi, che vanno dalle serate passate in compagnia di parenti e compa­esani, all’associazionismo!, i collegamenti con parenti ed amici in Sicilia o in Calabria, i ritorni anche per periodi prolungati al paese d’origine.
I siciliani d’Australia costituiscono il maggiore gruppo regionale stabilitosi nel continente e annoverano attualmente circa 47.000 per­sone nate nell’isola mentre, secondo stime rilevate in seno alla colletti­vità siculo-australiana, sono probabilmente 200.000 i nati in Australia di discendenza siciliana. La presenza siciliana in Australia ebbe inizio verso la metà del 1800 con l’arrivo di alcuni eoliani, il cui numero au­mentò nel corso dell’ultimo quarto del secolo con l’aggiunta anche di in­dividui provenienti da Capo d’Orlando.

I musei delle migrazioni

Se, come per il passato, sono state le opportunità lavorative a defi­nire le migrazioni, la differenza con la precedente epoca migratoria sta nel fatto che l’attuale periodo è fondato su un’economia mondiale ca­ratterizzata da una crescente libertà e mobilità delle merci e dei capi­tali che contrasta con la bassa mobilità di mano d’opera. Inoltre, lé dif­ficoltà economiche dei paesi sviluppati favoriscono il proliferare di di­scorsi che vedono nell’immigrato la causa dei problemi sociali (delin­quenza, disoccupazione, violenza).
Le migrazioni odierne si presentano sempre più come fenomeno fi­siologico che accompagna i rapidi processi di globalizzazione. La pre­senza crescente di persone provenienti da paesi diversi diventa sempre più un “elemento strutturale” con conseguenze economiche, sociali e culturali per la vita dei paesi di accoglimento. È il momento allora di prendere in considerazione l’esistenza sul proprio territorio di residen­ti stranieri che vivono, lavorano, partecipano alla vita quotidiana della società senza essere però riconosciuti come cittadini completi.
In questa prospettiva, tra le sfide che la comunità mondiale deve affrontare emerge quella di gestire le differenze in società pluricultu­rali. Di fatto la risposta non è quella di erigere ostacoli e barriere sup­plamentari, ma di cogliere le nuove occasioni di incontro, dialogo e az1one comune.

On June 13, 2003, Canada’s prestigious Museum of Civilization in Ottawa opened its doors to the exhibition, “Presenza -A New Look at ltalian-Canadian Heritage”. It was the first national exhibition ever to be presented on an ethnic minority whose presence in the country’s urban universe has spanned over the entire 20th century.
The exhibition was unique in that-beyond the skills of its curator, Mauro Peressini (see the interview in this issue) – it relied on the participation of ordinary Italian Canadians from coast to coast who willingly lent the wide variety of objects and artefacts on which the exhibition was largely based. Moreover, the conception and design employed by the organisers helped to make a compelling case for the survival of a “material culture” whose interaction with the Canadian environment seems to have transformed it from what some observers may see as a dying residue of an ethnie, into a living organism whose influence on the habits and values of many Canadians remains significant.

Il 30 novembre 2005, in occasione del Centenario (1905-2005) della morte di Mons. Giovanni Battista Scalabrini, vescovo e fondatore dei Missionari di San Carlo (Scalabriniani) per l’accompagnamento socio­pastorale degli emigrati italiani f).el mondo, il CSER (Centro Studi Emi­grazione di Roma), il SIMI (Scalabrini International Migration Institu­te) e la Fondazione Scalabrini, hanno organizzato, in Campidoglio a Roma, un Convegno di riflessione-testimonianza sull’apporto positivo dei migranti alla “costruzione” della società comune a quanti abitano il territorio romano.
Roma, infatti, ha dimostrato nella storia e dimostra oggi di essere una “città aperta”, una città che crede nelle relazioni tra persone per­ché le politiche sociali, culturali, urbanistiche, di sicurezza realizzate nella città hanno come fine quello di creare “collegamenti” tra le perso­ne che hanno scelto Roma come luogo di vita.
Roma è una città alla quale non fa difetto la capacità di accoglien­za … anche e soprattutto verso coloro che arrivano a Roma e in Italia nella speranza di un foturo migliore. Immigrati che vanno accolti e che devono trovare nella città le condizioni per poter vivere e integrarsi.
In questo numero di «Studi Emigrazione» riproponiamo alla riflessione dei lettori i tre interventi magistrali, tenuti da Zamagni, Sanfilippo e Ambrosini in occasione del convegno, che – ognuno nel suo ambito – sottolineano il cammino comune a migranti e autoctoni nella creazione di un nuovo tessuto sociale che, valorizzando l’apporto positivo delle diverse origini e appartenenze, metta in primo piano una convivenza pacifica, rispettosa e dialogante.

I campi per stranieri in Italia

La lettura, quasi in parallelo, di due tesi sui Centri di permanenza temporanea (CPT) e di alcune serie dell’Archivio Centrale dello Stato sul secondo dopoguerra ha stimolato le riflessioni alla base di questo fascicolo. La letteratura specialistica sui campi e sui centri italiani di accoglienza o di transito per i profughi ritiene queste strutture abba­stanza recenti!. Invece i documenti di archivio svelano come i problemi odierni esistessero già sessanta anni fa e alcuni centri odierni siano situati sugli stessi luoghi di quelli di ieri. Dalla divergenza fra queste due informazioni nasce l’esigenza di proporre un’analisi delle struttu­re italiane di accoglienza per i profughi che trascenda il breve periodo.
In primo luogo si è ripercorsa la bibliografia disponibile, ma la let­tura si è rivelata poco utile. I testi sull’argomento trattano del falli­mento o delle difficoltà del sistema odierno e si schiacciano sul presen­te senza porsi domande sul passato2. Resta dunque la sola documenta­zione d’archivio, ma non è sempre accessibile. La maggior parte delle istituzioni italiane, pubbliche o private, non permette o non agevola la lettura dei documenti della seconda metà del Novecento.

Nel contesto dell’allargamento dell’Unione Europea e della presen­za stabile di minoranze etniche provenienti dai paesi terzi, le città eu­ropee diventano ogni giorno più cosmopolite e multiculturali. In questa prospettiva, il servizio pubblico che ha, finora, tenuto in poca conside­razione la diversità culturale degli utenti, dovrà rivedere la propria pratica professionale.
Gli uffici pubblici, luoghi dove il vicino ed il lontano si incontrano, devono necessariamente garantire un servizio uguale a tutti gli utenti ed essere, allo stesso tempo, modelli di rispetto e valorizzazione delle diversità culturali. Assistiamo, invece, ad una recrudescenza di feno­meni di incomprensione e di discriminazione, diretta o indiretta, all’in­terno dei rapporti che si creano :tra istituzioni pubbliche e l’utente. La comunicazione a favore degli utenti non viene concepita in un approc­cio interculturale basato sulla diversità. Il personale del servizio pub­blico non è stato preparato alla comprensione interculturale. In gene­rale, si nota un serio deficit di competenza interculturale nel servizio pubblico delle città europee che non riescono ad adattarsi ai cambia­menti strutturali della società.

Come ogni anno, con l’arrivo della stagione estiva, aumentano gli sbarchi di migranti sulle coste italiane. Quelle meridionali sono le più esposte a questi arrivi, sebbene le rotte ed i luoghi di sbarco cambino negli anni adeguandosi ai nuovi equilibri geopolitici della regione me­diterranea 1 e, più in generale, alla rete di relazioni ed interazioni esi­stenti tra paesi di partenza e quelli di arrivo2• Su Lampedusa, avampo­sto italiano nel Mediterraneo, confluiscono, o sono fatte confluire, le navi in rotta verso l’Italia. Una volta sbarcati, i migranti sono ospitati nel piccolo centro di permanenza temporanea e assistenza (CPTA) dell’isola. Il centro, oggetto di numerose critiche per irregolarità proce­durali e presunte violazioni dei diritti umani da parte di istituzioni e organizzazioni internazionali e europee, tra cui il Parlamento Euro­peo, la Corte Europea per i Diritti Umani, il Comitato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e Amnesty International, occupa un ruolo centrale nella costruzione retorica della presunta emergenza immi­grati in Italia. In altre parole, il sovraffollamento del CPTA di Lampe­dusa – che, è bene sottolinearlo, è di dimensioni limitate ed è dotato di scarse risorse e capacità di accoglienza – diventa la metafora attraver­so cui in Italia si costruisce il mito dell’invasione.

Dossier: Donne, emigrazione ed emancipazione

In questo numero di Studi Emigrazione sono presentati quattro contributi fra loro collegati dall’intento di affrontare in maniera pro­blematica il tema della migrazione femminile e di sviluppare un’anali­si del fenomeno da diverse prospettive, avvertite come più significative per comprendere quanto e in che modo la scelta delle donne di “migra­re” sia anche legata ad una prospettiva di “emancipazione” femminile.
La letteratura esistente in merito ha evidenziato la recente, sem­pre maggiore attenzione, verso un fenomeno per molto tempo trascura­to perché automaticamente ricondotto a quello dei ricongiungimenti familiari attivati dai migranti uomini. L’attenzione dei ricercatori e il moltiplicarsi delle indagini sulle migrazioni femminili hanno, d’altro canto, evidenziato che esse condividono aspetti propri dei flussi migra­tori intèrnazionali e aspetti che ne fanno, invece, un fenomeno specifi­co nell’ambito delle migrazioni tout court.
Non v’è dubbio che la scelta di migrare si configuri come una “scelta obbligat_a” e quindi come una “non scelta” sia per gli uomini che per le donne. E il caso delle iv.igrazioni per motivi di lavoro, le cui modalità d’attuazione sono spesso dettate dallo squilibrio demografico, dal forte divario del tenore di vita fra i paesi d’emigrazione e quelli d’immigra­zione così come dalle possibilità giuridiche di lasciare il paese d’origine e di entrare nel paese d’accoglienza o di aggirare gli ostacoli giuridici alla migrazione e all’inserimento nei contesti d’arrivo.

Pochi anni or sono Andreina De Clementi, storica dell’emigrazione italiana, scriveva: «In coincidenza con periodi di forte espansione capi­talistica e delle correlate turbolenze del mercato del lavoro internazio­nale, il nostro paese ha conosciuto due grandi cicli migratori, l’uno com­preso grosso modo tra il 1870 e il 1920 e l’altro tra il 1946 e la crisi petro­lifera del 1973. Mentre, però, il primo è stato scandagliato in lungo e in largo da una folta pattuglia di studiosi che hanno ormai riempito intere biblioteche, non si può dire altrettanto per il secondo, che risulta a tut­t’oggi, salvo qualche pregevole eccezione, assai poco esplorato. La sto­riografia italiana e le scienze sociali italiane condividono questa omis­sione con la comunità scientifica internazionale e, per sincerarsene, ba­sta sfogliare una delle più recenti e documentate sintesi di uno speciali­sta come Klaus Bade, dove al secondo dopoguerra sono dedicate poche informazioni essenziali a tutto vantaggio della successiva immigrazio­ne dai paesi extraeuropei. È facile prevedere che il perdurante sbalordi­mento occidentale, la mole dei problemi e la costante attualità di questo fenomeno tenderanno a monopolizzare il campo della ricerca»

Giovanni Battista Scalabrini, profeta dei migranti
Il senso di un centenario

Giovanni Battista Scalabrini muore a Piacenza, dov’era vescovo, il 1 ° giugno 1905. Quest’anno centenario è quindi l’occasione per rivisita­re la sua visione profetica del fenomeno migratorio.
L’intuizione originaria
In Milano, parecchi anni or sono, fui spettatore di una scena che mi lasciò nell’animo un ‘impressione di tristezza profonda. Di passaggio dalla stazione vidi la vasta sala, i portici laterali e la piazza adiacente invasi da tre o quattro centinaia di individui poveramente vestiti, divisi in gruppi diversi. Sulle loro facce abbronzate dal sole, solcate dalle rughe precoci che suole imprimervi la privazione, traspariva il tumulto degli affetti che agitavano in quel momento il loro cuore. Erano vecchi curvati dall’età e dalle fatiche, uomini nel fiore della virilità, donne che si traevano dietro o portavano in collo i loro bambini, fanciulli e giovanette tutti affratellati da un solo pensiero, tutti indirizzati ad una meta comune … Erano emigranti.
Appartenevano alle varie provincie dell’Alta Italia ed aspettavano con trepidazione che la vaporiera li portasse sulle sponde del Mediter­raneo e di là nelle lontane Americhe ove speravano di trovare meno av­versa la fortuna, meno ingrata la terra ai loro sudori. Partivano quei poveretti, alcuni chiamati da parenti che li avevano preceduti nell’eso­do volontario, altri senza sapere precisamente ove fossero diretti, tratti da quel potente istinto che fa migrare gli uccelli. Andavano nell’Ameri­ca, ove c’era, lo sentirono ripetere tante volte, lavoro ben retribuito per chiunque avesse braccia vigorose e buona volontà.

Questo numero della nostra rivista è dedicato alla città di Bassano del Grappa e al territorio vicentino. Tale scelta è dovuta alla concomitanza di alcun fattori: 60 anni di presenza dei Padri Scalabriniani a Bassano del Grap­pa; il territorio vicentino segnato dall’emigrazione italiana e fecondo di vocazioni missionarie; il fatto immigratorio dei Terzomondiali quale presenza nuova che chiede risposta.
Si rimane sempre stupefatti vedendo come certe persone non riescono a capire che «il mondo attorno a loro è cambia­to». Che ci sono altri problemi, altre soluzioni, altre sfide, al­tre risposte.

Nei giorni 4-6 giugno si è tenuta a Roma presso l’Hotel Ergife la prima Conferenza Nazionale dell’Immigra­zione. Erano presenti circa 2.500 persone tra cui otto­cento rappresentanti delle comunità e associazioni degli im­migrati extracomunitari. Il clima in cui si è svolta la Conferenza è stato sereno, a parte il momento di protesta, ma di poca significatività, del­l’europarlamentare comunista Dacia Valent. La «passerella» dei politici e le «relazioni» degli esperti hanno presentalo il fenomeno immigratorio extracomunita­rio nella sua complessità, ma intriso di paura, di demagogia e solo di un pizzico di realtà.

L’Europa è percorsa dal problema scottante dell’immigrazione degli extracomunitari. Il Fronte Nazionale di Francia, i Republikaner in Germania, le Langhe in Italia sono movimenti politici che raccolgono consensi agitando la bandiera della difesa dell’identità nazionale.

In questi mesi sul caso degli immigrati a Firenze, giornali, radio e TV hanno versato fiumi di inchiostro. Il problema degli immigrati extracomunitari “i vu cumpra” (senegalesi e marocchini) viene servito in tutte le salse. E una moda? Sono chiaramente extracomunitari: in realtà sono semplicemente non bianchi.

Capita, abbastanza spesso, anche qui in Italia di incontrare per le strade volti di persone straniere: studenti di colore, lavoratori, venditori ambulanti del Nord Africa. Si è trovato da tempo una maschera per ognuno loro: “vu cumprà”, “marocchino”, “diverso”. Eppure dietro questi titoli si nascondono persone di molte provenienze diverse: Africa nera, Paesi Arabi, Medio Oriente, Centro America, India, e tante altre nazioni.

La Comunità Europea non può non tener conto di quanto sta succedendo sulla riva del Mediterraneo. Anzitutto i quattordici paesi del Sud e del Sud Est rappresentano il terzo cliente della Comunità e il suo quarto fornitore (fra l’altro del venti percento della sua energia). In secondo luogo perché la Comunità trae da questa riva benefici commerciali pari oggi a 5,4 miliardi di ecu.

I1 flusso immigratorio degli extracomunitari, iniziato in Italia negli anni ’80, oggi è all’attenzione non solo dell’o­pinione pubblica, ma dei politici, delle forze sociali e sindacali, in particolare della Chiesa cattolica. Un’immigra-zione che si inserisce in un contesto internazionale ed euro­peo di democrazia e di libertà. Una democratizzazione del­l’EST cavalcata dal leader incontestato Gorby e una libertà condotta da Papa Woitjla. Democrazia e libertà iniziate nel-1’80 in Polonia ed estesesi, in brevissimo tempo, in Ungheria, Cecoslovacchia, nella Germania dell’Est e ultimamente in Romania, purtroppo con spargimento di sangue.

Le cronache segnalano ormai ogni giorno episodi di in­tolleranza razziale ai danni degli immigrati. L’assassi­nio dell’immigrato sudafricano Jerry Essan Masslo avvenuto nelle campagne del napoletano ne è un caso tragico ed emblematico. Il problema dell’immigrazione dal Terzo Mondo è generale e riguarda non solo l’Italia, ma tutta l’Eu­ropa occidentale. Però, in Italia, tale problema promette di essere più esplosivo che altrove. La storia, le caratteristiche culturali e l’attuale assetto politico italiano, fanno dell’im­migrazione il problema dei problemi che l’Italia dovrà af­frontare nei prossimi anni.

In questo numero del nostro giornale si tenta di presentare ai nostri lettori il volto dello Scalabrini e l’attualità del suo messaggio.
Un grande uomo, ma nello stesso tempo una persona «vici­na alla nostra vita quotidiana». Una figura vigorosa e com­plessa che lotta con le più dure realtà della vita portando il suo contributo intelligente. Una voce poco ascoltata, ma incisiva. Una sensibilità che coglie i problemi delle persone più emar­ginate. Una persona coraggiosa che si butta a capo fitto del dramma dell’emigrazione fin dai primi anni di sacerdozio quando a Como, giovane sacerdote esercita il suo ministero nella Valtellina, uno del più grossi serbatoi di emigranti. Par­roco di S. Bartolomeo, si trova di fronte a parrocchiani che, per la crisi dell’industria tessile, devono emigrare.

Il titolo è tratto da un’osservazione fatta da uno studioso di problemi migratori e vorrebbe rispecchiare l’originali­tà di Scalabrini che colse l’elemento etnico come molto importante per la pastorale e per la stessa concezione di una società realmente pluralistica ed aperta a tutti. Solo una battuta per sgombrare il campo da luoghi comu­ni: nessun nazionalismo e nessuna chiusura per quanto ri­guarda la missionarietà tra i migranti. Almeno queste non fu­rono mai prerogative di Scalabrini, né del nostro giornale. Si tratta invece di puntualizzare un aspetto importante per l’Europa che va costituendosi e cioè: “Si può ancor oggi parla­re di necessità di missionarietà per i migranti europei al di dentro dell’Europa? E se sì, come farsene carico? Sono queste due domande interessanti che ci possono portare lontano.

Il primo quaderno di “SELEZIONE CSER” di 1971 si presenta rinnovato nella concezione e nel contenuto. Piú che di novità, in fondo, si dovrebbe parlare di ritorno alle origini, in quanto, come il nome “Selezione” indica, la pubblicazione e nata per far conoscere, nell’ambito dei problemi migratori, documenti, punti di vista, tentativi di interpretazione o di soluzione, spunti di discussione, che giungono al nostro e ad altri Centri di Documentazione o affinarono da libri, riviste, giornali.

L’articolo che pubblichiamo studia l’applicazione, nell’esercizio della giurisdizione ecclesiastica, del principio della personalità in opposizione a quello della territorialità. Vengono esposte prima le grandi linee della legislazione canonica. Si esaminano, in seguito, l’innovazione dottrinale e pratica introdotta dalla Costituzione Apostolica “Exsul Familia”
(1 agosto 1952) di Pio XII e gli aggiornamenti portati nello spirito del Concilio Vaticano II, dal Motu Proprio “Pastoralis Migratorum Cura” (15 agosto 1969) di Paolo VI e dall’istruzione relativa della S. Congregazione dei Vescovi (22 agosto1969).

La repubblica del Portogallo è sorta nel 1910, dopo che una rivolta aveva portato all’assassinio del re Carlo 1° . Il regno era durato per secoli, dal 1139, quando un certo Alphonsus Henriques si era proclamato “Portucalensium rex”.

E’ uscito in questi giorni, a cura del Centro Studi Emigrazione, il volume “La Svizzera dopo Schwarzenbach” (1).
Particolare risalto è dato nel volume al problema degli operai stagionali del cui statuto lavorativo è generalmente
richiesta l’abolizione. Su tale problema pubblichiamo i’. due importanti documenti che seguono.

I giovani di oggi sono affascinati dai problemi-frontiera: i rapporti tra i popoli e tra le culture; la pace che si chiama sviluppo; l’ecumenismo.

– I poveri ieri e oggi – Offriamo ai nostri lettori la traduzione di un articolo del P. DU BUIT, o.p. apparso in
“Migrations et Pastorale” del luglio 1970. L’articolo ci pare interessante non solo per le informazioni che contiene, ma
soprattutto per i problemi che solleva, confrontando l’esito dell’opera evangelizzatrice tra gli sradicati dell’età apostolica e t’esito della stessa opera. tra gli emigranti di oggi. Ci permettiamo farlo seguire da alcune nostre riflessioni.

La posizione geografica del Belgio ha fatto di questo Paese, in ogni epoca, un luogo di passaggio, sia per gli eserciti delle grandi potenze europee, che per i prodotti commerciali. Dall’inizio del secolo ventesimo il numero degli stranieri stabilitisi in questo territorio è andato aumentando in continuità: in particolare nel primo dopoguerra (1919-1939) e dopo la seconda guerra mondiale (1945-1950) l’immigrazione ha conosciuto flussi notevoli, originati per una parte dalle scosse politiche dell’Europa centrale e orientale e per l’altra dal reclutamento di manodopera destinata ad occupare certi settori economici (miniere di carbone e impianti siderurgici), che i lavoratori belgi disertavano.

Continuando nell’iniziativa di aUerna.re a quaderni di carattere monografico (come i due numeri di gennaio-febbraio e marzo-aprile 1970, dedicati all’emigrazione italiana in Germania) quaderni di pastorale dell’emigrazione, il presente numero di “Selezione CSER” è dedicato al tema dei 1•apporti tra “pastorale e condizionamento sociale”.

Non possiamo parlare né di assistenza ai lavoratori italiani né dei problemi della nostra emigrazione in Germania senza premettere lo statuto giuridico e sociale degli italiani nella Repubblica Federale di Germania.

Due fatti – l’uno di natura giuridica, l’altro di ri­lievo statistico – hanno caratterizzato l’emigrazione ita­liana nel 1968, inserendo i problemi dell’emigrazione ita­liana in Germania in una prospettiva decisamente europea.

In occasione dell’incontro organizzato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati tra le varie ONG e l’HCR stesso nel quadro della riunione annuale dell’HCR, il “gruppo di riflessione” composto da organismi di ispirazione religiosa (cattolici, ebrei e protestanti) ha presentato alcune riflessioni, che pubblichiamo.

È passato inosservato il 25.mo anniversario della pubblicazione del libro di Marshall McLuhan “Gli strumenti del comunicare” che ha segnato profondamente un’epoca. La rivincita del contenuto/messaggio sul mezzo sembra sempre più farsi strada ed il
sistema del “villaggio globale” convive con centinaia di paeselli che sanno selezionare ed esigere contenuti specifici contro processi di massificazione.

Che cosa è l’immigrazione? Un continente alla deriva o il segnale di un mondo in transizione che richiedi? nuove norme, oppure l’occasione provvidenziale per rivisitare la società italiana nelle sue capacità di accoglienza e di apertura e di immissione dei diritti sociali, economici e culturali unici capaci di garantire un trattamento giusto alle quote più vulnerabili della popolazione, sia italiana che straniera? Oppure l’occasione per l’Italia di un cammino di esemplarità all’interno di un’Europa che, come ha detto Franco Bentivogli, deve essere aiutata a superare la tentazione di stanchezza e di chiusure nei confronti di chi bussa alle sue porte?

Anche in sintonia con il pensiero laico presente nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, noi crediamo
nella uguale dignità di tutte le persone davanti a Dio per cui ognuno, non importa la sua razza, la sua religione, la sua provenienza, la sua condizione sociale va trattato con uguale dignità ed uguali diritti.

Riuniti in Ariccia (Roma) nei giorni 2-6 aprile 1990 per il loro 509 convegno, i membri del Comitato Cattolico per le Migrazioni Intraeuropee (CCMIE) assieme a rappresentanti di organismi ecclesiali, comunitari e civili, hanno riflettuto ancora una volta, dopo il convegno di Amburgo dello scorso anno, sull’Europa del 1992: “Una Europa per l’uomo: una unione originale “. Presentiamo parte del comunicato finale.

Spesso l’opinione pubblica, di fronte a problemi complessi, cerca il criterio di giudizio più semplificato, quasi a garantirsi almeno un po’ di minimale chiarezza. Sta avvenendo qualcosa di simile sui problemi dell’immigrazione, dei lavoratori stranieri in Italia, della gente di colore e «vu cumprà». Sono problemi di complessità enorme, legati all’intreccio di innumerevoli motivazioni e meccanismi di carattere economico, demografico, sociale e politico.

Durante i suoi lunghi anni di soggiorno a Londra, Giuseppe Mazzini non si limitò a frequentare l’aristocrazia politica e letteraria, ma fu anche solidale con la massa degli umili emigrati. Nel 1840, dopo appena tre anni della sua venuta in Inghilterra, fondò l’Unione degli Operai Italiani e diede vita al famoso mensile “L’Apostolato Popolare”. Nel 1841 Mazzini istituì in Hatton Garden una scuola italiana gratuita per i bambini, per gli adulti analfabeti e per le donne inglesi, che accolse ben presto oltre un centinaio di alunni. La scuola di Mazzini era osteggiata da tanti, anche dai cosiddetti “padroni”, cioè da coloro che si vedevano sottrarre quei bambini che, occupati invece a suonare ed a esibire animali ammaestrati lungo le vie di Londra, procuravano loro facili e lauti guadagni.

Esistono ancora gli italiani fuori d’Italia? O sono ormai classificati come parte di quella allegra e variopinta brigata di cittadini residenti all’estero che in occasione della grande kermesse calcistica invaderà le strade del mondo con bandiere e buon vino e che domanda solo dei buoni collegamenti via satellite?

Il 1989 rimarrà un anno denso di avvenimenti straordinari e di svolte storiche. Sono crollati tanti steccati e mondi ritenuti diversissimi tra di loro hanno finalmente cominciato a parlarsi, comunicandosi speranze e progetti. Sullo sfondo spostamenti di popoli dimenticati, tanto da rendere difficile distinguere bene i movimenti est-ovest, nord-sud e sud-sud.

Le audizioni del Vice Presidente del Consiglio dei Ministri, on. Claudio Martelli, alle diverse componenti sociali sui problemi della mobilità forzata manifestano un interessamento attivo che il Governo incomincia a dimostrare nei confronti della situazione sempre più drammatica degli immigrati e dei rifugiati.

Importanza delle motivazioni
Chiunque si occupa della formazione degli adulti, sia in campo religioso che in quello profano, sa che il problema della motivazione ha un’importanza del tutto centrale.
L’adulto – è risaputo – intraprende uno sforzo di formazione soltanto se ha forti e validi motivi per farlo, siano essi ragioni professionali, o di prestigio, o di interesse
personale, ecc. Non è come il bambino che si sente in qualche modo costretto a studiare, perché tutti gli dicono che “deve” farlo, anche se non è in grado di capirne l’utilità e il significato.

La donna fa oggi problema, assai più di ieri, anche se la “questione femminile” non è certo sorta nel nostro secolo, ma è andata investendo da due secoli a questa parte
ciò che viene chiamato il “mondo occidentale”, per diffonder si poi, specie a partire dalla seconda guerra mondiale , a – tutto il mondo, con un movimento a macchia d’olio che sembra non conoscere ormai barriere o confini capaci di arrestarlo. Non è fuori luogo domandarsi perché la questione femminile sia sorta “qui”, appunto in occidente, ed “ora”, e cioè negli ultimi due secoli, dal momento che la risposta a questi due interrogativi consente già di compiere alcuni passi avanti nella comprensione dei termini del problema.

In questo quaderno proponiamo – come materiale di studio e di riflessione in vista del prossimo Convegno Nazionale sulla Famiglia – le sedici tesi cristologiche per una teologia del matrimonio, preparate dalla Commissione teologica internazionale, pubblicate nella traduzione italiana da “Il Regno – Documenti”, n. 17, 1978.Anche se l’attenzione del Convegno punterà più propriamente sulla famiglia emigrata, riteniamo utile un aggiornamento teologico sulla natura del matrimonio cristiano, che nella famiglia è il fondamento.

Diamo qui una sintesi delle lezioni che il Prof. Don Antonio Margaritti – docente di antropologia filosofica alla facoltà teologica di Milano – ha tenuto al 29 Seminario di aggiornamento culturale e teologico per i Collaboratori delle Missioni italiane in Germania – a Someda di Moena in Val di Fassa (Trentino), dal 24 al 31 agosto 1978 – sul tema “Verso una nuova egemonia culturale?”.

credo… la preghiera
Credo che la preghiera non è tutto, ma tutto deve cominciare dalla preghiera:
perché l’intelligenza umana è troppo corta e la volontà dell’uomo troppo debole;
perché l’uomo che agisce senza Dio non dà mai il meglio di se stesso

Tra le iniziative postconciliari più importanti e originali svoltesi in Europa, è indubbiamente da collocare il Sinodo comune delle diocesi della Repubblica Federale Tedesca – costituito dall’insieme dell’Episcopato e da rappresentanze di tutte le componenti ecclesiali (sacerdoti, laici, religiosi) delle singole diocesi, i cui lavori, sviluppatisi in otto sessioni, dal gennaio 1971 al novembre 1975, hanno portato all’approvazione di 17 documenti (1).

“I missionari dei lavoratori stranieri in Germania. un’analisi della situazione e dei comportamenti sullo sfondo delle norme ecclesiastiche” (Bernd Gottlob)

Conferenza in occasione del Convegno annuale 11 Pastorale deglistranieri nella RFT” (9-11 novembre 1977 nella Haus Ohrbeck -Diocesi di Osnabruck): Pubblichiamo questa relazione – che sintetizza gran parte ài una tesi di laurea – che c’interessa, come si può vedere dal titolo. A parte alcune generalizzazioni ed il peso dato ad alcuni casi-limite, la relazione ci sembra una foto grafia abbastanza realistica della situazione. Siamo anzi grati a Gottlob per l’enorme lavoro che si è sobbarcato intervistando quasi tutti i Missionari italiani, spagnoli, portoghesi, croati e sloveni in Germania e buona parte di quelli rientrati, andando a visitarli nei loro paesi di origine.

Dedichiamo questo numero al recente 1. Convegno Nazionale dei Collaboratori pastorali laici delle Missioni italiane in Germania, tenuto a Francoforte. In esso mancano alcuni elementi di contenuto che hanno caratterizzato la fase preparatoria del convegno ed alcune eventuali valutazioni che cercheremo di recuperare in un secondo momento.

Pubblichiamo il documento “Matrimonio e Famiglia vissuti cristianamente” del Sinodo delle diocesi tedesche, in traduzione italiana. Ricordiamo quanto questo documento, in seconda lettura, fu oggetto di dure battaglie nell’aula sinodale, al punto che stava rischiando di essere respinto dalla maggioranza dell’assemblea.

Pubblichiamo questo lavoro di “Incontro” foglio di collegamento della Conferenza Italiana Istituti Secolari (maggio 1976). Esso contiene spunti efficaci di riflessione per noi e per i nostri collaboratori, al fine di fare della nostra preghiera “sorgente della Missione”.