
L’immigrazione straniera nella Tuscia negli anni duemila
Questioni, bisogni e risposte di una società in trasformazione
Autrice: Ada Alvaro
Una delle principali sfide a cui l’Italia è chiamata a rispondere è il passaggio a una società multietnica. In questo contesto l’autrice si propone di indagare e approfondire la risposta della popolazione locale alla crescita della componente straniera, verificatasi a partire dai primi anni duemila.
Soprattutto pone l’attenzione sulla dimensione socioeconomica. Attraverso la voce e i racconti di tante persone che con il suo lavoro quotidiano stanno a contatto e si impegnano nella tutela e l’integrazione dei migranti nella provincia di Viterbo. Il territorio della Tuscia oggi conta circa 30 mila stranieri, stabilmente presenti (il 10% circa della popolazione totale).
Questo libro non si limita soltanto a descrivere le cifre e le statistiche dell’immigrazione nel territorio della Tuscia ma va oltre, cercando di comprendere le motivazioni e le cause che spingono sempre più persone a lasciare il proprio paese di origine.
L’ identità dei migranti
Le storie di Hachemi e Mohamed, due membri fondatori dell’Associazione culturale Islamica di Viterbo, rappresentano un esempio significativo di come i migranti possono mantenere vive le proprie tradizioni culturali e religiose in un contesto nuovo e spesso ostile.
Hachemi
“Hachemi giunse in Italia nel 1982 come studente a Perugia, dove rimase per un anno. Successivamente, si trasferì a Firenze per continuare gli studi universitari. Tuttavia, l’elevato costo della vita e i guadagni insufficienti derivanti dal suo lavoro serale resero difficile il suo mantenimento. Un amico di Hachemi, anch’egli studente universitario e residenti a Viterbo, gli suggerì di trasferirsi lì, dove il costo della vita era più basso. Nell’anno del suo arrivo a Viterbo, 1989, la comunità algerina era molto piccola, composta da circa dieci studenti universitari, ma questo gli bastò per riuscire a integrarsi rapidamente nella città. Poco tempo dopo, completò i suoi studi e trovò un lavoro più stabile nel terzo settore.”
Mohamed
“Mohamed” giunse a Roma nel 1993 con un visto turistico, il metodo più rapido e legale per lasciare il proprio paese e raggiungerne uno sicuro. Lui dovette fuggire dall’Algeria, che era allora nel pieno della guerra civile iniziata circa due anni prima. I primi anni di Mohamed in Italia non sembrano essere stati molto diversi da quelli di tanti altri migranti che oggi arrivano sulla Penisola. Per circa tre anni rimase a Rosarno, impiegato illegalmente nell’agricoltura, nella raccolta delle arance e della olive. Mohamed partiva anche per la Campania e per il Lazio dove si dedicava stagionalmente alla raccolta delle patate e dei finocchi. Grazie alla rete dei suoi connazionali e di altri migranti braccianti come lui, capì come muoversi e dove recarsi per lavorare nell’ agricoltura. Sempre tramite la stessa rete, poi, viene a conoscenza di un’opportunità di lavoro più stabile nel settore dell’edilizia nella Tuscia, e subito vi si aggrappò. Senza esitazione decise di abbandonare la precarietà del settore agricolo e cominciare questo nuovo lavoro, che lo avrebbe poi portato a stabilizzarsi nella provincia di Viterbo. Grazie alla sanatoria seguita all’emanazione della legge Turco-Napolitano (6marzo 1998, n. 40) riuscì in fine a regolarizzare la sua posizione e fu questo evento a orientare le sue scelte per il futuro.”
Contro la cultura dello sfruttamento
Da questa indagine è affiorato che nella provincia di Viterbo, come in molte altre aree d’Italia, una grande quantità di migranti sono impiegati in condizioni di sfruttamento, specialmente nel settore agricolo.
Se volete approfondire, potete leggerlo presso la nostra biblioteca
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