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Studi Emigrazione n°216/2019

Studi Emigrazione 216/2019

a cura di Matteo Sanfilippo

Negli ultimi sessanta anni non sono state rare le lamentele riguardo allo stravolgimento culturale e antropologico di Roma prima a causa dell’arrivo di connazionali da altre regioni e in seguito per quello di non italiani e soprattutto di non europei. Secondo chi deplora tale trasformazione, la città avrebbe così perso la propria “anima”, quella, per intenderci, alla base delle opere di Giuseppe Gioacchino Belli (1791-1863) e Trilussa (pseudonimo di Carlo Alberto Salustri, 1871-1950), e sarebbe diventata un amalgama di persone accomunate soltanto dal risiedere nello stesso centro urbano. Il lamento sul declino della pristina romanità non è nuovo. Una lunga tradizione novecentesca, locale e internazionale, lo ascrive alla caduta dello stato pontificio e all’annessione al Regno d’Italia. Basti pensare alle lettere di Henry James agli inizi del Novecento (Edel, 1977: 632). In esse lo scrittore statunitense, immigrato in Inghilterra, spiega come il divenire capitale del Regno abbia cancellato le caratteristiche più peculiari dell’Urbe. A quelle pagine potremmo accostare, con un balzo di quasi ottanta anni, la scritta che campeggiava all’ingresso della fermata Lepanto della metropolitana, poco dopo la sua apertura. In essa un autore anonimo invitava gli italiani ad andarsene dalla città. Oggi, però, la lamentatio della decadenza romana non accusa più l’Italia di aver invaso o snaturato Roma e non sottolinea le ipotetiche conseguenze della presenza di troppi nuovi abitanti, italiani o meno. Sottolinea invece l’inefficienza del governo locale, che ha lasciato la città in mano a «topi e gabbiani» (Veneziani, 2019a). Mentre organizziamo questo fascicolo della rivista, stanno cambiando le espressioni, soprattutto populiste, se non dichiaratamente di estrema destra, del disagio di vivere in una metropoli, che sta evolvendosi verso non si sa bene quale modello. Si contestano meno il governo nazionale o i nuovi immigrati, mentre si critica la giunta comunale e la sua incapacità di risolvere l’emergenza “rom”. Il drastico calo del numero dei rifugiati nella Penisola ha infatti diminuito il “pericolo” di nuovi arrivi e le preoccupazioni sembrano ormai altre, pur se sono ancora vivaci le derive xenofobiche.