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Studi Emigrazione n°210/2018

Studi Emigrazione 210/2018

A cura di Gabriele Beltrami

Nella biografia di Goran Bregović, musicista e compositore nato da padre croato e madre serba, si legge che la sua musica «è una miscela, nasce dalla frontiera balcanica, una terra misteriosa dove si incrociano tre culture: ortodossa, cattolica e musulmana». Ecco, forse, la ragione più profonda per la sua sensibilità verso l’integrazione, il sostegno a gruppi Rom, vittime dell’ondata xenofoba insinuatasi in diversi paesi europei e che identifica negli “zingari” una piaga sociale.
Come altri artisti cosiddetti “impegnati”, egli definirebbe la musica come un’espressione libera dal potere, capace di fungere da collante sociale in contesti multiculturali, oppure occasione di incontro e sensibilizzazione verso gruppi minoritari o tematiche socialmente delicate.
In un mondo che deve – e sempre più dovrà – dare risposte concrete e lungimiranti ai variegati flussi migratori, la musica diviene uno degli strumenti di aggregazione ed integrazione tra le diverse culture. Il potenziale trasformativo della musica, la sua capacità di stimolare percorsi mentali alternativi, di suggerire deviazioni al pensiero, arrivare a promuovere una mobilità delle idee, oltre che delle persone, forse farebbe bene ripensare innanzitutto al concetto stesso di ascolto. Per quanto possa apparire ovvio ai più, infatti, il mettersi in una posizione di ascolto, scegliendo di non parlare, può costituire la prima condizione, in realtà imprescindibile, per giungere ad una comunicazione che “dice” disponibilità verso l’altro, chiunque esso sia, da qualsiasi latitudine provenga.