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Studi Emigrazione n°213/2019

Studi Emigrazione 213/2019

a cura di Laura Zanfrini

Il presente fascicolo raccoglie gli atti della IX edizione della Summer School, svoltasi a Santa Maria di Leuca (LE) dal 23 al 26 luglio 2018, e focalizza l’attenzione sui migranti come attori economici, analizzando la realtà del lavoro immigrato in Italia e in Europa, nei suoi aspetti più problematici e in quelli più virtuosi. Accanto alle indiscutibili sfide che le diverse componenti delle migrazioni contemporanee pongono ai mercati del lavoro europei, obbligandoli a misurarsi coi problemi dell’inclusione lavorativa di soggetti spesso vulnerabili, la Scuola ha voluto indagare le prospettive di un’autentica valorizzazione dell’immigrazione, capace di andare oltre la “miopia” degli attuali modelli di integrazione e di sviluppo. Anche in ragione del suo significativo peso demografico – destinato a crescere ancora nei prossimi anni – la popolazione con un background migratorio rappresenta infatti una posta in gioco decisiva per la competitività delle economie europee e la sostenibilità dei loro regimi di accumulazione e dei loro sistemi di welfare. E, insieme, una straordinaria risorsa per le stesse comunità d’origine dei migranti, secondo una prospettiva – evocata dall’idea di co-sviluppo – che deve essere ancora fortemente potenziata. La relazione introduttiva, che apre questa raccolta di saggi, descrive i caratteri distintivi del modello europeo di gestione delle migrazioni economiche, rilevando come il paradigma del “lavoratore ospite”, istituzionalizzato negli anni del dopoguerra, abbia fornito l’imprinting a tutta la vicenda migratoria europea, generando una serie di criticità e ambivalenze. Coerentemente con la logica funzionalistica sulla quale si fonda, questo modello ha incoraggiato la concentrazione dei migranti nei lavori meno qualificati e meno retribuiti; fenomeno che ha generato, a sua volta, una condizione di svantaggio strutturale le cui conseguenze si sono riverberate anche sulle seconde generazioni. Ancor oggi, le caratteristiche delle job vacancies, e forse ancor più le aspettative socialmente condivise circa il ruolo degli immigrati (destinati a fare i lavori «che noi non vogliamo più fare»), concorrono a far sì che tanto le politiche (e le non politiche) migratorie, quanto la partecipazione dei migranti al mercato del lavoro continuino a riflettere un modello di incorporazione subordinata. In questa luce si spiega come il pur significativo sforzo a favore dell’inclusione e dell’equalizzazione dei migranti e dei loro discendenti non sia stato assolutamente in grado di neutralizzare gli effetti della discriminazione incorporata nel funzionamento “normale” del mercato del lavoro europeo.