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Studi emigrazione n°215/2019

Studi Emigrazione 215/2019

a cura di Lorenzo Prencipe e Matteo Sanfilippo

Il 17 dicembre 2018 si è tenuto nella biblioteca del Centro Studi Emigrazione (CSER) il seminario che ha fornito i testi per la parte monografica di questo numero, organizzato dal CSER con la partecipazione della Direzione generale della Congregazione scalabriniana, dello Scalabrini International Migration Institute (SIMI) e dell’Ufficio Comunicazioni scalabriniano (UCOS). L’idea del seminario era in sé piuttosto semplice e immediata. A distanza di 130 anni dalla legge Crispi per l’emigrazione italiana del 30 dicembre 1888 e dal relativo commento di mons. Scalabrini (Il disegno di legge sull’emigrazione italiana. Osservazioni e proposte, 1888) si voleva vedere come il processo legislativo e il relativo dibattito si sia venuto evolvendo sino a oggi e quale contributo vi abbiano dato la Chiesa cattolica e in particolare Scalabrini e gli scalabriniani. Il 1888 era dunque soltanto l’inizio di un processo ancora oggi in corso e di una riflessione giuridica, sociale e religiosa sull’impatto delle migrazioni, allora in uscita e oggi in entrata e in uscita, nella Penisola italiana. Prima della legge Crispi troviamo nel neonato regno italiano solo norme relative ai passaporti, alcuni regolamenti di polizia e due circolari un po’ più articolate (Menabrea del 1868 e Lanza del 1873). In tale situazione, la legge del 1888 può essere considerata la prima enucleazione giuridica complessiva sulle migrazioni italiane ‒ come mostra il testo di Dolores Freda ‒ e anticipa il più noto e sistematico intervento legislativo del 1901, per altro sempre seguito e commentato da Scalabrini, come sottolinea Giovanni Terragni nel suo contributo. Per capire le motivazioni della legge e della riflessione di Scalabrini è, però, necessario inquadrarle nella concreta vicenda della mobilità storica del tempo. A tale scopo, nel corso della prima seduta seminariale, Emilio Franzina ha dipinto un quadro di quanto accaduto tra Vecchio e Nuovo Mondo sul finire dell’Ottocento. Un incidente gli ha, però, impedito di rivedere la sua comunicazione orale che, in questo fascicolo, è stata perciò sostituita da un saggio di noi curatori sulla sola vicenda italiana. Nella seconda seduta del seminario ci si è mossi verso l’oggi. Si è così affrontata l’evoluzione delle migrazioni italiane dopo il 1945, sia verso l’estero sia all’interno della Penisola, ed è stato analizzato il suo rapporto con i flussi in arrivo. Attraverso gli interventi di ricercatori del CNR (Corrado Bonifazi e Mattia Vitiello dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali di Roma e Michele Colucci dell’Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo di Napoli) si è in particolare delineato il quadro demografico, economico, sociale e amministrativo-giuridico di queste partenze e questi arrivi. Fabio Baggio ha quindi disegnato la trasformazione dell’opera scalabriniana in una missione per tutti i migranti, da dovunque essi vengano e dovunque si dirigano, sia come Congregazione, sia come ufficiali delle istanze vaticane che dal secondo dopoguerra a oggi si sono occupate del problema. Infine, Gianni Borin ha portato il saluto della Direzione generale scalabriniana e ha ricordato quanto questa sia attenta alla riflessione storica e al presente impegno in favore di migranti e rifugiati. Con questa carrellata di interventi si è voluto leggere e capire il fenomeno storico delle migrazioni italiane e il radicamento dell’impresa scalabriniana in tale dinamica storica. Il fenomeno storico delle migrazioni italiane è complesso e composto di molteplici fasi, nelle quali di volta in volta sono state predominanti la partenza degli italiani verso l’estero (a cavallo di Otto-Novecento, dopo la seconda guerra mondiale e di nuovo oggi), la mobilità italiana all’interno della Penisola (per buona parte del secondo Novecento e ancora oggi), l’arrivo di immigrati (particolarmente notevole nell’ultimo quarto del Novecento e agli inizi del nostro millennio) che, però, ha presto portato questi ultimi ad accodarsi alla mobilità dentro e fuori della Penisola degli altri abitanti di quest’ultima, in balia delle successive crisi economiche cominciate nei primi anni del Duemila. Persino l’ingresso di rifugiati e profughi è drasticamente calato, quando questi si sono resi conto delle condizioni in cui versa la Penisola.